« Che cosa vuol dire che le ha strappato Evangeline? Pensavo fosse morta in un incidente. »

Whitehead scosse la testa. « C'è un limite a quello che ti posso dire », aggiunse. « Ci sono cose che non so esprimere. E non vorrò mai esprimere. » La voce era tagliente.

Marty cambiò discorso. « Ha detto che è tornato due volte. »

« Esatto. Ritornò di nuovo, un anno o due dopo la prima visita. Quella notte Evangeline non era a casa. Era novembre. Toy andò ad aprire la porta, lo ricordo bene, e anche se non udii la voce di Mamoulian, sapevo che era lui. Andai nel corridoio. Stava in piedi sulla porta, alla luce del portico. Piovigginava. Riesco ancora a vederlo, il modo in cui i suoi occhi mi scrutavano. 'Posso entrare?' domandò. Se ne stette lì in piedi e chiese solo: 'Posso entrare?'

« Non so perché ma lo lasciai entrare. Non sembrava messo male. Forse pensai che era venuto per scusarsi, non mi ricordo. Anche allora ero pronto a essere suo amico, se me lo avesse chiesto. Non sulla vecchia base. Come conoscenze di lavoro, forse. Lasciai cadere le mie difese. Iniziammo a parlare di nuovo dei tempi passati », Whitehead rimuginava su quei ricordi, cercando di assaporarli, « poi iniziò a raccontarmi di quanto si sentisse solo, di quanto avesse bisogno della mia compagnia. Gli dissi che erano finiti i tempi di Varsavia, che ero un uomo sposato, un pilastro della comunità e che non avevo intenzione di cambiare il mio modo di vivere. Iniziò a farsi offensivo: mi accusò di essere un ingrato. Disse che l'avevo imbrogliato, che avevo rotto il nostro patto. Io ribattei che non c'erano mai stati patti. Avevo soltanto vinto una partita a carte, in una città lontana, e lui aveva deciso di aiutarmi per delle ragioni che erano soltanto sue. Gli dissi anche che sentivo di avere soddisfatto abbastanza i suoi bisogni per ritenermi libero da qualsiasi obbligazione. Tutti i miei debiti erano stati pagati. Aveva diviso con me la mia casa, i miei amici, la mia vita per dieci anni: ogni cosa che possedevo era anche sua. 'Non è abbastanza', replicò, ricominciando; le stesse preghiere di prima, le stesse richieste: che abbandonassi quella presunta rispettabilità e me ne andassi via con lui, in giro per il mondo come suo allievo, per imparare nuove, terribili lezioni sul mondo. E devo ammettere che riuscì anche ad attrarmi. C'erano momenti in cui mi sentivo stanco di quella messinscena; quando sentivo l'odore della guerra e dello sporco; quando ricordavo le nuvole sopra Varsavia e avevo nostalgia del ladro che c'era in me una volta. Ma non avrei gettato tutto all'aria per un po' di nostalgia. Glielo dissi. Doveva aver capito che ero irremovibile, perché iniziò a disperarsi. Parlava in modo confuso, dicendo che senza di me aveva paura, si sentiva perso. Ero la persona alla quale aveva dedicato anni della sua vita e molta della sua energia, come potevo essere così egoista e così duro? Mi gettò le braccia al collo, piangendo, cercando di accarezzare la mia faccia. Ero terrorizzato da tutta quella storia. Quel melodramma era disgustoso, non ne volevo sapere niente. Ma non se ne voleva andare. Le sue richieste si fecero minacciose e suppongo di aver perso le staffe. Nessun dubbio: non ero mai stato così arrabbiato. Volevo dare un taglio a lui e a tutto quello che lui rappresentava: il mio sporco passato. Lo colpii. Non troppo forte, la prima volta, ma quando vidi che continuava a fissarmi persi la testa. Non fece nessun tentativo per difendersi, e la sua passività non fece che rendermi ancora più furioso. Lo colpii una volta, poi un'altra, e lui le prendeva. Continuò ad offrirmi la faccia perché la colpissi. » Tirò un profondo sospiro, tremando. « Dio sa che ho fatto cose ben peggiori, ma niente di cui mi sia maggiormente vergognato. Smisi solo quando le mani iniziarono a farmi male. Poi lo diedi a Toy che lo massacrò sul serio. E durante tutto quel tempo, nemmeno un gemito da parte sua. Mi vengono i brividi a pensarci. Lo vedo ancora lì, contro la parete, con Bill che lo teneva per la gola e lui che non guardava nemmeno da dove arrivavano i colpi: continuava a guardare me. Soltanto me.

« Ricordo che disse: 'Sai che cosa hai fatto?' Solo questo. In tono molto tranquillo, con il sangue che usciva insieme alle parole.

« Poi accadde qualcosa. L'aria si fece pesante. Il sangue sulla sua faccia iniziò a serpeggiare come se fosse il muro, lasciando una scia di sangue. Credevo che l'avessimo ammazzato. È stato il momento più brutto della mia vita: io e Toy lì in piedi, con lo sguardo fisso a quel mucchio di ossa che avevamo picchiato con tanta forza. Fu quello il nostro errore. Non avremmo mai dovuto mollare. Avremmo dovuto finirlo, ammazzarlo. »

« Cristo! »

« Sì! Siamo stati stupidi a non finirlo. Bill era fedele: non ci sarebbero stati problemi. Ma non avevamo abbastanza coraggio. Io non avevo abbastanza coraggio. Ordinai solo a Toy di lavare Mamoulian, di portarlo in città e di scaricarlo da qualche parte. »

« Non lo avreste ucciso », disse Marty.

« Insisti ancora nel voler leggere nella mia mente », rispose Whitehead stancamente. « Non capisci che è quello che voleva? Il motivo per il quale era venuto? Avrebbe lasciato che fossi il suo giustiziere, se solo avessi avuto il coraggio di andare fino in fondo. Era stanco di vivere. Avrei potuto toglierlo da quella condizione di miseria, e sarebbe stata la fine di tutto. »

« Crede che sia mortale? »

« Ogni cosa ha la sua stagione. La sua è passata, e lui lo sa. »

« Quindi l'unica cosa che deve fare è aspettare. Giusto? Morirà quando sarà il momento. » Marty si era improvvisamente stancato di quella storia, di ladri e di fato. L'intero racconto, vero o falso che fosse, lo disgustava. « Non ha più bisogno di me », continuò. Si alzò in piedi e andò verso la porta. Il rumore dei suoi piedi sui vetri era troppo forte in una stanza così piccola.

« Dove stai andando? » chiese il vecchio.

« Lontano. Più lontano che posso. »

« Mi hai promesso di restare. »

« Ho promesso di ascoltare. Ho ascoltato. E non voglio saperne di questi luoghi pieni di sangue. »

Marty iniziò ad aprire la porta. Whitehead sì rivolse alla sua schiena.

« Credi che l'Europeo ti lascerà stare? L'hai visto in carne e ossa, hai visto quello che è in grado di fare. Dovrà farti tacere prima o poi. Hai pensato a questo? »

« Preferisco rischiare. »

« Qui sei al sicuro. »

« Al sicuro? » ripeté Marty, incredulo. « Non sta parlando sul serio. Al sicuro? Lei è davvero patetico, lo sa? »

« Se te ne vai... », lo avvisò Whitehead.

« Che cosa? » Marty si voltò verso di lui, con aria di disprezzo. « Che cosa farai, vecchio? »

« Farò in modo che ti siano dietro nel giro di due minuti; ti do la mia parola. »

« E se mi prendono racconterò loro tutto. Dell'eroina, di quella là fuori nel corridoio. Qualsiasi porcheria che mi verrà in mente. Non me ne frega un cazzo delle tue fottute minacce, mi sono spiegato? »

Whitehead annuì. « Siamo a un punto morto. »

« Così sembra », ammise Marty, uscendo nel corridoio senza nemmeno voltarsi indietro.

Lo aspettava una sorpresa macabra: i cuccioli avevano trovato Bella. Non erano stati risparmiati dalla mano di Mamoulian capace di risuscitare, anche se non potevano servire a niente di particolare. Troppo piccoli, troppo ciechi. Se ne stavano accucciati all'ombra della pancia vuota di Bella, e con le bocche cercavano i capezzoli che erano scomparsi ormai da tanto tempo. Notò che ne mancava uno. Era il sesto cucciolo che aveva visto muoversi nella fossa, forse seppellito troppo profondamente o troppo putrefatto per seguire i suoi fratelli?

Bella alzò il collo mentre lui le passava furtivamente di fianco. Quello che era rimasto della sua testa penzolava nella sua direzione. Marty allontanò lo sguardo, disgustato; ma un battito ritmico lo costrinse a dare un'occhiata indietro. La bestia gli aveva perdonato la violenza di prima, almeno apparentemente. Felice ora, con la sua adorata spazzatura in grembo, lo fissava senza occhi, mentre l'orrenda coda batteva dolcemente sul tappeto.

Whitehead si lasciò cadere esausto nella stanza dove Marty l'aveva lasciato.

Sebbene all'inizio fosse stato difficile raccontare la storia, con l'andare della narrazione quel compito era diventato sempre più facile, e ora era felice di essersene liberato. Molte volte avrebbe voluto raccontare tutto a Evangeline. Ma lei gli aveva fatto capire, nel suo solito modo sottile ed elegante, che non voleva conoscere i suoi eventuali segreti. In tutti quegli anni, vivendo nella stessa casa con Mamoulian, lei non gli aveva mai chiesto direttamente perché, come se sapesse che la risposta non sarebbe stata una risposta, ma solo un'altra domanda.

Il ripensare a lei risvegliò in lui dolori che gli serravano la gola e gli spaccavano il cuore. L'Europeo l'aveva uccisa, non aveva dubbi su questo. Lui o i suoi uomini erano sulla strada con lei: la sua morte non era stata una fatalità. Se lo fosse stata, l'avrebbe saputo. Il suo infallibile istinto gli avrebbe detto che era andata così, per quanto terribile potesse essere il suo dolore. Ma non aveva avuto questa impressione, solo la consapevolezza della complicità indiretta di lui nella sua morte. Era-stata uccisa per vendicarsi di lui. Uno dei tanti gesti di quel tipo, ma senza dubbio il peggiore.

E dopo la morte, l'Europeo l'aveva presa? Era scivolato nel mausoleo e l'aveva riportata in vita, come aveva fatto con i cani? Il pensiero era ripugnante, ma Whitehead decise di prenderlo ugualmente in considerazione, deciso a pensare il peggio per paura che Mamoulian potesse trovare qualcosa di ancora più terribile per spaventarlo.

« Non riuscirai », disse ad alta voce rivolto alla stanza con i vetri. Non riuscirai: a spaventarmi, a intimorirmi, a distruggermi. Poteva impedirglielo. Poteva ancora scappare, e nascondersi ai margini della terra. Trovare un posto dove poter dimenticare la storia della sua vita.

C'era qualcosa che non aveva raccontato, una parte della Storia, non certo di capitale importanza, ma discretamente interessante, che aveva tenuto nascosta a Strauss come avrebbe fatto con qualsiasi altro. Forse non la si poteva descrivere. O forse era così profondamente collegata alle ambiguità che lo avevano perseguitato nelle terre desolate della sua esistenza, che lo stesso descriverla avrebbe potuto rivelare il colore della sua anima.

Rifletté su quell'ultimo segreto, e, stranamente, si sentì invaso da una sensazione di violento calore.

Aveva abbandonato il gioco, la prima e ultima partita con l'Europeo, e si era infilato nella porta semichiusa che dava su Piazza Muranowski. Non c'erano stelle in cielo, solo il fuoco alle sue spalle.

Mentre se ne stava in piedi, cercando di orientarsi, con il freddo che si infilava attraverso le suole degli stivali, gli apparve di fronte la donna senza labbra. Lo aveva invitato. Lui pensò che volesse condurlo sulla strada dalla quale era venuto, e la seguì. Ma lei aveva altre intenzioni. Lo aveva condotto lontano dalla Piazza in una casa con le finestre barricate e - ancora più curioso, lui l'aveva seguita all'interno, convinto che quella fosse una notte particolare e che non potesse accadergli nulla di male.

All'interno della casa c'era una minuscola stanza le cui pareti erano ricoperte di fasce appartenute a pirati, di stracci e di altri velluti polverosi che avevano certamente ornato finestre maestose nei loro tempi passati. In quel boudoir di fortuna c'era solo un mobile. Un letto sul quale il Tenente Vasiliev, morto - che aveva visto recentemente nella stanza da gioco di Mamoulian - stava facendo l'amore. Quando il ladro entrò dalla porta e la donna senza labbra si pose al suo fianco, Konstantin alzò lo sguardo dalla sua fatica, mentre il suo corpo continuava a spingersi nella donna che giaceva sotto di lui su un materasso ricoperto con bandiere russe, tedesche e polacche.

Il ladro rimase in piedi, incredulo, con la voglia di dire a Vasiliev che lo stava facendo in modo scorretto, che aveva scambiato un buco per un altro, e che non era un orifizio naturale quello che stava usando in modo tanto brutale, ma una ferita.

Comunque, il Tenente non lo avrebbe ascoltato. Faceva delle smorfie mentre compiva il suo lavoro, la pertica rossa rovistava e si dimenava, rovistava e si dimenava. Il cadavere con il quale stava godendo ondeggiava sotto di lui, non impressionato dalle attenzioni del suo amante.

Per quanto tempo il ladro era rimasto a guardare? L'atto non dava segni di conclusione. Alla fine la donna senza labbra aveva mormorato « Abbastanza? » nel suo orecchio; lui si era girato un po' verso di lei mentre la donna gli metteva una mano sui pantaloni. Non sembrò per niente sorpresa nel vedere che gli era diventato duro, anche se durante tutti quegli anni lui si sarebbe chiesto come fosse stata possibile una reazione cosi anomala data la situazione ributtante. Aveva accettato ormai da tempo il fatto che i morti potessero essere svegliati, l'aver provato una sorta di piacere nel vederli nei loro passatempi osceni quello era un altro crimine, più terribile ancora del primo.

L'Inferno non esiste, pensò il vecchio, allontanando dalla memoria il boudoir e il Casanova bruciacchiato. O forse l'Inferno è una stanza, e un letto e una bramosia eterna, e io sono stato lì e ho conosciuto il piacere e, se dovesse accadere il peggio, sarò in grado di sopportarlo.

 

PARTE QUINTA

 

IL DILUVIO UNIVERSALE

 

« Da una nave in fiamme, che non poteva

salvarsi se non affondando,

si tuffarono alcuni uomini cercando invano

di saltare sulle navi nemiche;

si persero tutti coloro che erano sulla barca;

chi incendiato sul mare,

chi annegato nel naufragio. »

 

John Donne, La nave in fiamme

 

IX

 

Malafede

 

49

 

Il Diluvio discese nel luglio più secco a memoria d'uomo; però il sogno revisionista di Armageddon non è completo senza il suo paradosso. Fulmini a ciel sereno; la: carne mutata in sale; gli umili che ereditano la terra: tutti fenomeni inverosimili.

Comunque quel luglio non mostrò trasformazioni spettacolari. Nessuna luce celeste apparve fra le nuvole. Non piovvero dal cielo né salamandre né bambini. E se gli angeli in quel mese andarono e venirono - se il Diluvio Universale che ci si aspettava si abbatté sulla terra tutto questo fu, come il più vero Armageddon, pura metafora.

È vero che ci sono accadimenti bizzarri che vanno riferiti, ma per la maggior parte avvengono in vicoli, in corridoi poco illuminati, in luoghi desolati ed evitati fra materassi fradici di pioggia e le ceneri di vecchi falò. Sono avvenimenti locali; privati, quasi. La loro risonanza fa tutt'al più nascere qualche pettegolezzo fra cani selvatici.

Ma la gran parte di questi miracoli - apparizioni, piogge e redenzioni - fu fatta scivolare dietro la facciata della vita quotidiana con tale abilità che solo gli osservatori più acuti, o quelli alla ricerca dell'inverosimile, colsero una fugace apparizione dell'Apocalisse che mostrava le sue meraviglie a una città scolorita dal sole.

 

50

 

La città non accolse a braccia aperte il ritorno di Marty, ma egli era felice di essere una volta per tutte lontano dalla casa, di aver voltato le spalle al vecchio e alla sua pazzia. Qualunque sarebbe stata la conseguenza della sua partenza a lungo termine - avrebbe dovuto pensarci bene prima di andare a dormire - egli aveva perlomeno spazio per respirare e tempo per pensare a ogni cosa.

La stagione turistica era in corso. Londra era invasa da visitatori che rendevano estranee le strade familiari. Passò i primi due giorni vagabondando, riabituandosi alla libertà di movimento e di pensiero. Gli era rimasto ben poco denaro, ma in caso di bisogno poteva dedicarsi a un lavoro manuale. Con l'estate al culmine l'edilizia aveva un gran bisogno di valide braccia. Il pensiero di una giornata di onesto lavoro, coi sudore pagato in contanti, lo attraeva. Se necessario avrebbe venduto la Citroén che aveva portato via dal santuario in un ultimo, e probabilmente sconsiderato, gesto di ribellione.

Dopo due giorni di libertà, i suoi pensieri tornarono a un vecchio tema: l'America. Se l'era fatta tatuare su di un braccio come ricordo dei suoi sogni di prigioniero. Forse adesso era ora di trasformarlo in una realtà. Nella sua immaginazione il Kansas lo chiamava, coi suoi campi di grano a perdita d'occhio in ogni direzione e nessuna opera umana in vista. Lì sarebbe stato al sicuro; non solo al sicuro dalla polizia e da Mamoulian, ma dalla storia, dalle storie raccontate e raccontate ancora, un circolo vizioso, un mondo senza fine. Nel Kansas ci sarebbe stata una nuova storia; una storia di cui non poteva conoscere la fine. E non era questa la perfetta libertà? Vivere una storia non contaminata dalla mano dell'Europeo, dalla sua realtà?

Per stare alla larga dalle strade mentre organizzava la fuga si trovò una stanza a Kilburn, un monolocale squallido con il bagno due piani più giù, condiviso da altre sei persone, come lo informò il padrone. In realtà le sette stanze della casa erano occupate da almeno quindici persone, compresa una famiglia di quattro elementi tutti nella stessa camera. Il pianto del bambino più piccolo gli disturbava il sonno, così si alzava presto e lasciava la casa a se stessa per tutto il giorno, tornando solo, e a malavoglia, quando i pub erano chiusi. Comunque, si consolava, non era una situazione destinata a durare.

Naturalmente c'erano problemi legati alla partenza, non ultimo ottenere un passaporto con il visto; senza di esso non gli avrebbero consentito di metter piede in America. Doveva procurarsi con celerità questi documenti. Per quanto ne sapeva la sua libertà condizionata era collegata alla sua permanenza presso Whitehead e chissà cosa sarebbe successo. Forse le autorità stavano già rastrellando le strade alla sua ricerca.

Il terzo giorno di luglio, una settimana e mezza dopo aver lasciato la proprietà, decise di prendere il toro per le corna e di visitare la casa di Toy. Malgrado Whitehead insistesse che Bili era morto, Marty sperava ancora che non fosse così. Molte volte Papà aveva mentito in passato: perché non in questo frangente?

La casa si trovava in un'elegante traversa di Pimlico; una strada di facciate silenziose con costose automobili parcheggiate sugli stretti marciapiedi. Suonò il campanello diverse volte, ma non ci fu segno di vita. La veneziane alle finestre del piano inferiore erano abbassate; e c'era un grosso mucchio di posta, circolari soprattutto, ficcato nella cassetta delle lettere.

Stava sulla soglia fissando in silenzio la porta, sapendo perfettamente che non si sarebbe aperta, quando comparve una donna sulla soglia della casa accanto. Di sicuro non la proprietaria, una donna delle pulizie, piuttosto. Sul viso abbronzato - e chi non era abbronzato in questa estate infuocata? - aveva l'espressione, a stento contenuta, di chi gode nel dare una cattiva notizia.

« Mi scusi, posso esserle utile? » chiese speranzosa.

Marty fu contento di essersi messo in giacca e cravatta per andare là; quella donna era il classico tipo che va a riferire alla polizia il minimo sospetto.

« Sto cercando Bill. Il signor Toy. »

Il viso della donna mostrò una sorta di disapprovazione: per lui o per Toy?

« Non c'è », disse.

« Sa per caso dove è andato? »

« Nessuno lo sa. L'ha lasciata. Ha preso e se ne è andato. »

« Lasciata chi? »

« Sua moglie. Beh... la sua amica. L'hanno trovata là dentro un paio di settimane fa, non l'ha letto? Era su tutti i giornali. Mi hanno intervistato e io gliel'ho detto che lui non era un tipo come si deve, proprio per niente. »

« Deve essermi sfuggito. »

« Era su tutti i giornali. Adesso lo stanno cercando. »

« Chì? »

« La squadra omicidi. »

« Davvero!? »

« Non è un giornalista? »

« No. »

« Sa, sarei disposta a raccontare la mia versione, se il prezzo è giusto. Le cose che potrei raccontarle... »

« Sul serio? »

« Pare che fosse in uno stato terribile... »

« Cioè? »

Conscia di quanto poteva ricavarne, la donna non aveva alcuna intenzione di svelare i particolari, anche ammesso che li conoscesse, e Marty ne dubitava. Ma era disposta a darne qualche assaggio per invogliarlo. « Era mutilata », spiegò, « irriconoscibile anche ai più intimi. »

« Ne è sicura? »

Quest'affronto alla sua credibilità offese la donna.

« O se l'è fatto da sola, oppure qualcuno l'ha fatto e poi l'ha rinchiusa lì, a morire dissanguata. Per giorni e giorni. Il tanfo che c'era quando hanno aperto la porta... »

A Marty ritornò in mente il suono della voce fioca e persa che aveva risposto al telefono ed egli sapeva con certezza che la donna di Toy era già morta allora. Mutilata e morta ma fatta risorgere per non suscitare sospetti finché faceva comodo. Risentì quelle due parole: « Chi è? » Cominciò a tremare, malgrado il sole e il caldo di quel luglio brillante. Mamoulian era stato lì. Aveva varcato quella stessa soglia in cerca di Toy. Aveva un conto in sospeso con Bill, come adesso sapeva; e che cosa poteva architettare un uomo per ripagare la violenza, subita mentre l'umiliazione bruciava ancora?

Marty si accorse che la donna lo stava fissando.

« Si sente bene? »

« Grazie, sì. »

« Ha bisogno di riposo. Ho anch'io lo stesso problema. Con queste notti calde non riesco a dormire. »

Marty la ringraziò ancora e si allontanò in fretta, senza voltarsi. Era fin troppo facile immaginarsi gli orrori; arrivavano senza preavviso, dal nulla.

E non sarebbero svaniti. Non ora. Di giorno e di notte, senza tregua, il ricordo di Mamoulian era presente e lo sarebbe stato sempre. Si rese conto dell'esistenza di un altro mondo (era la vita dei sogni, che rifiutava di restare confinata nelle notti insonni e invadeva anche la veglia?), un mondo che era sospeso al di là o dietro la facciata della realtà.

Ormai non poteva più tergiversare. Doveva andarsene; dimenticare Whitehead e Carys e la legge. Far sparire le proprie tracce e andare in America in un modo o nell'altro; in un luogo dove il reale fosse reale e i sogni restassero sotto le palpebre, al loro posto.

 

51

 

Raglan era un esperto nella raffinata arte della falsificazione. Con due telefonate Marty lo rintracciò e si accordò con lui. Per un modesto compenso poteva contraffare il visto appropriato su di un passaporto; se Marty riusciva a portare una fotografia il lavoro poteva essere fatto in uno, due giorni al massimo.

Era il quindici di luglio: la temperatura era eccezionalmente alta. La radio della stanza accanto aveva promesso una giornata di sereno totale, come il giorno precedente e quello prima ancora. E il cielo era di un bianco accecante.

Marty uscì di buon'ora per andare da Raglan, sia per evitare le ore più calde, sia perché non sognava che di avere il visto, comprarsi il biglietto e andarsene. Non andò oltre la stazione della metropolitana di Kilburn High Road. Là, sulla prima pagina del Daily Telegraph lesse i titoli: MILIONARIO EREMITA TROVATO MORTO IN CASA. E sotto un'immagine di Papà; un Whitehead più giovane e senza barba, fotografato al culmine della sua influenza e nel massimo splendore. Comprò il giornale e altri due che riportavano la storia in prima pagina, e li lesse in mezzo al marciapiede, mentre i pendolari sgomitavano e lo apostrofavano con impazienza scendendo le scale a ondate per andare ai treni.

« Si è avuta notizia oggi della morte di Joseph Newzan Whitehead, il milionario presidente della Whitehead Corporation, che con i suoi prodotti farmaceutici era diventata, prima del recente crollo, una delle aziende più prospere dell'Europa Occidentale. Whitehead, 68 anni, è stato trovato nel suo rifugio dell'Oxfordshire nelle prime ore di ieri mattina dal suo autista. Si pensa che sia morto per un collasso cardiaco. Secondo la polizia non ci sono elementi sospetti. Necrologi a pag. 7. »

Come al solito l'articolo era un insieme di informazioni raccolte dalle pagine dell'annuario delle celebrità, con qualche cenno sulle fortune della Whitehead Corporation condito da congetture riguardo la recente caduta dell'azienda dall'Olimpo della finanza. C'era la storia della vita di Whitehead, sebbene i primi anni fossero narrati piuttosto sinteticamente, come se si fosse in dubbio sui particolari. Il resto della storia c'era tutto, quantunque fosse arcinoto. Il matrimonio con Evangeline, la spettacolare ascesa nel boom degli anni Cinquanta: i decenni del consolidamento e delle grandi imprese; quindi, dopo la morte di Evangeline, il ritiro misterioso, nell ombra e nel silenzio.

Era morto.

Nonostante le parole coraggiose, l'aria di sfida, il disprezzo per le macchinazioni dell'Europeo, aveva perso la battaglia. Marty non poteva sapere se si trattasse davvero di morte naturale, come dicevano i giornali o se fosse opera di Mamoulian. Ma non poteva negare di provare curiosità; anzi, più che curiosità, dolore. Scoprire di provar dolore per il vecchio fu per lui uno shock e la sorpresa di quel sentimento fu ancora più forte del dolore stesso. Non aveva mai immaginato di provare un simile senso di vuoto.

Annullò l'incontro con Raglan e tornò al suo monolocale, per analizzare i giornali, cercando di spremere dal testo ogni singola goccia sulle circostanze della morte di Whitehead. Naturalmente c'erano pochi indizi: tutti gli articoli erano redatti nel linguaggio neutro e formale tipico di tali annunci. Finito di leggere si recò nella stanza accanto per chiedere in prestito la radio. La ragazza, una studentessa probabilmente, non ne fu per niente entusiasta, ma alla fine acconsentì. Da metà mattina in avanti, Marty ascoltò tutti i notiziari diffusi ogni mezz'ora, mentre il caldo cresceva nella stanza. Fino a mezzogiorno la storia ebbe rilievo, ma poi degli attentati a Beirut e un'operazione della narcotici a Southampton la fecero da padrone, e le notizie sulla morte di Whitehead passarono pian piano dai titoli alle notizie in breve e da queste all'oblìo nella metà del pomeriggio.

Restituì la radio e declinò l'offerta di una tazza di caffè con la ragazza e il suo gatto, i cui avanzi di cibo riempivano l'angusta camera di un odore disgustoso, e ritornò nella sua stanza per sedersi a pensare. Se Mamoulian aveva davvero ucciso Whitehead - ed era certo che l'Europeo era in grado di farlo senza che i più esperti patologi lo scoprissero - indirettamente la colpa era sua. Se fosse rimasto nella casa, forse il vecchio sarebbe stato ancora vivo. Improbabile. Più improbabilmente sarebbe morto anche lui. Ma il senso di colpa non lo abbandonò.

Nei due giorni seguenti fece ben poco: era entrato in uno stato letargico. I suoi pensieri erano ripetitivi, ossessivi. Nella sua testa come in un cinema scorrevano le immagini familiari che aveva raccolto; da quei primi e incerti sprazzi sulla vita privata del potere fino a ricordi più recenti - fin tropo netti e particolareggiati -dell'uomo solo in una gabbia col fondo di vetro; i cani; il buio. Molto spesso, anche se non sempre, appariva fra queste immagini il volto di Carys, talvolta canzonatorio talaltra indifferente, spesso distaccato. Lo sbirciava da sotto in su fra le ciglia socchiuse come se lo invidiasse. A tarda notte, quando il bambino al piano di sotto si era addormentato e l'unico rumore era quello del traffico sulla High Road, riviveva i loro momenti più intimi, troppo preziosi per essere rievocati indiscriminatamente, perché vitali per la sua sopravvivenza.

Per un certo periodo aveva cercato di dimenticarla: era meglio così. Ora, invece, continuava a pensare a lei, segregata chissà dove, senza un amico. Si domandava se l'avrebbe più rivista.

Tutte le edizioni domenicali riportavano altri articoli sulla morte del vecchio. Il Sunday Times ospitò sulla prima pagina della cronaca una descrizione concisa del Milionario più misterioso della Gran Bretagna scritta da Lawrence Dwoskin, « a lungo socio e confidente dell'Howard Hughes d'Inghilterra ». Marty lesse il pezzo due volte, incapace di scorrere le righe senza udire il tono insinuante di Dwoskin...

« ... sotto molti punti di vista era un modello », lesse, « ... anche se l'eremitaggio degli ultimi anni aveva inevitabilmente fatto nascere una quantità di pettegolezzi e chiacchiere, molte delle quali offensive per un uomo suscettibile come Joseph. Durante tutti gli anni di vita pubblica, esposto alla censura di una stampa non sempre benevola, non si abituò mai alle critiche, sia implicite sia esplicite. A quei pochi fra noi che lo conoscevano bene rivelò una natura più sensibile agli strali di quanto ci si sarebbe immaginati per il suo atteggiamento indifferente. Quando scoprì che su di lui venivano diffuse voci di cattiva condotta e intemperanze, le critiche lo toccarono nel vivo, specie perché era diventato l'essere più pignolo del mondo in fatto di morale e sesso dopo la morte nel 1965 dell'adorata moglie Evangeline. »

Marty lesse queste frasi fatte con un sapore amaro in gola. La canonizzazione del vecchio era già cominciata. Era presumibile che presto sarebbero venute le biografie, autorizzate - e poi espurgate - dal suo gruppo, che avrebbero trasformato la sua vita in una serie di favole con cui lo si sarebbe ricordato. Questo sistema lo nauseava. Leggendo le banalità dell'articolo di Dwoskin si trovò stranamente a difendere con fierezza i punti deboli del vecchio, come se tutto quello che l'aveva reso unico - l'aveva reso reale - corresse ora il pericolo di essere cancellato con un colpo di spugna.

Lesse l'articolo di Dwoskin fino alla conclusione sdolcinata e lo mise giù. L'unico particolare interessante di tutto il pezzo era la notizia dei servizio funebre, che sarebbe stato celebrato in una chiesetta a Minster Lovell l'indomani. Il corpo sarebbe poi stato cremato. Per quanto fosse rischioso, Marty sentì che doveva andare a rendergli l'estremo omaggio.

 

52

 

La funzione attrasse talmente tanti spettatori, dagli osservatori casuali agli accaniti cacciatori di scandali, che la presenza dì Marty passò del tutto inosservata. Vi era un'atmosfera irreale e precostruita: anche nella morte il grand'uomo doveva essere pubblicizzato; tutti dovevano sapere che non c'era più. Erano presenti corrispondenti e fotografi di tutta Europa oltre a quelli londinesi; e fra quelli che accompagnavano il funerale alcune delle facce più famose della vita pubblica: uomini politici, sapientoni, capitani di industria; perfino alcune stelle del cinema. La presenza di tante celebrità attirò centinaia di curiosi golosi. La chiesetta, il cimitero intorno a essa e la strada circostante erano stracolme. Lo stesso servizio funebre fu trasmesso a chi non era stato ammesso per mezzo di altoparlanti. La voce del sacerdote suonava metallica e teatrale attraverso il sistema di trasmissione, e il suo elogio era sottolineato da colpi di tosse e scalpiccìo di piedi, comicamente amplificati.

A Marty non piaceva sentire la cerimonia in questo modo, come non gli piacevano i turisti, vestiti in modo inadeguato per un funerale, che bighellonavano fra le pietre tombali e insudiciavano l'erba, aspettando con malcelata impazienza che si concludesse quella seccatura che impediva loro di guardare i divi. Whitehead aveva incoraggiato la misantropia latente in Marty: questa adesso era diventata un punto fermo nella sua visione del mondo. Guardandosi intorno nel cimitero vide la massa di gente accaldata, dagli occhi spenti, e sentì crescere dentro di sé il disprezzo. Aveva voglia di voltar le spalle alla folla e sgusciar via; ma il desiderio di dare l'ultimo saluto al vecchio fu più forte della voglia di andarsene, così aspettò nella ressa mentre le vespe ronzavano intorno alle teste appiccicose dei bambini e una donna che sembrava una mantide religiosa civettava con lui dall'alto di una tomba.

Qualcuno stava facendo le letture; un attore, a giudicare dal tono ampolloso. Lo annunciarono come un brano dei Salmi ma Marty non lo riconobbe.

La lettura si avviava alla conclusione quando un'automobile si avvicinò al cancello principale. Ne uscirono due figure, qualche testa si voltò e scattarono le macchine fotografiche. Si propagò un brusio fra la folla; quelli che si erano messi a sedere si rialzarono per poter vedere. Qualcosa scosse Marty dal letargo, ed anch'egli si alzò in punta di piedi per sbirciare i ritardatari; la loro era una vera e propria entrata a effetto. Guardò attentamente fra le teste cercando di scorgere qualcosa; ci riuscì, anche se per un breve attimo; no disse fra sé e sé, incredulo; poi si fece largo fra la folla tentando di andare di pari passo con Mamoulian e Carys, al suo fianco con il velo, che avanzavano lungo il sentiero dal cancello al porticato per poi scomparire nella chiesa. « Chi era? » gli chiese qualcuno. « Sa chi era? »

Dannazione, avrebbe voluto rispondere. Il demonio in persona.

Mamoulian era là! In pieno giorno, alla luce del sole, a braccetto di Carys come fossero marito e moglie, e lasciava che lo fotografassero per l'edizione del giorno seguente. Sembrava non avere alcun timore. Quest'apparizione in ritardo, così misurata, così ironica, era un ultimo gesto di disprezzo. E perché lei stava al gioco? Perché non si staccava dal suo braccio e lo denunciava per quell'essere mostruoso che era? Perché lei era entrata volentieri a far parte del suo entourage, esattamente come Whitehead aveva detto a Marty. In cerca di che cosa?

Qualcuno che esaltasse quella tendenza al nichilismo che c'era in lei; che la affinasse nell'arte raffinata dei morire? E lei che poteva offrire in cambio? Ah, quella era la spinosa questione.

Finalmente l'ufficio divino arrivò alla conclusione. D'un tratto, a deliziare e scandalizzare i fedeli, la voce rauca di un sassofono ruppe la solennità e gli altoparlanti diffusero a tutto volume una versione jazz di Fools Rush In. La beffa finale di Whitehead, era da presumere. Si guadagnò qualche risata e qualcuno fra la folla arrivò ad applaudire. Dall'interno della chiesa venne lo strepito della gente che si alzava dai banchi. Marty si issò per veder meglio il porticato ma, non riuscendoci, tornò indietro facendosi largo fra la calca fino a una tomba che offriva una buona vista. Fra gli alberi afflosciati per il caldo c'erano degli uccelli e si distrasse a guardare i loro inseguimenti e i loro giochi. Quando tornò a guardare la bara era già alla sua altezza, portata a spalla fra gli altri da Ottaway e Curtsinger. La cassa semplice sembrava esposta in modo quasi indecente. Si domandò in che modo l'avessero vestito per quell'ultima occasione; se gli avessero fatto la barba e chiusi gli occhi.

La processione degli invitati seguiva da vicino la bara, un corteo nero che divideva in due il mare variopinto dei turisti. A destra e sinistra gli obiettivi scattavano febbrilmente; un idiota gridò: « Guardate l'uccellino ». Il jazz continuava. Era tutto piacevolmente assurdo. Il vecchio, pensò Marty, doveva ridersela nella cassa.

Alla fine Carys e Mamoulian riemersero dall'ombra del portico nella luce brillante del pomeriggio e Marty fu sicuro di vedere la ragazza che scrutava la folla con cautela, per paura che il suo accompagnatore se ne accorgesse. Stava cercando lui, ne era certo. Sapeva che lui sarebbe stato presente, da qualche parte, e lo stava cercando. La mente di Marty si mise a correre, incespicando per l'agitazione. Se le avesse fatto un cenno, per quanto discreto, con ogni probabilità Mamoulian l'avrebbe visto, e questo era certamente pericoloso per entrambi. Meglio stare nascosto allora, anche se era penoso non poter scambiare un'occhiata con lei.

Quando il gruppo degli accompagnatori arrivò alla sua altezza, scese dalla tomba e, al riparo della folla, cercò di spiare il possibile. L'Europeo stava a capo chino e da quello che Marty riuscì a cogliere fra le teste che ondeggiavano, Carys aveva abbandonato la ricerca - disperando forse che fosse presente. Quando il feretro e il nero seguito uscirono dal cimitero, Marty si spostò velocemente e andò accanto al muro per osservare da una postazione più favorevole.

Sulla strada Mamoulian stava parlando con una o due persone del corteo. Ci furono strette di mano e condoglianze presentate a Carys. Marty guardava con impazienza. Forse nella confusione lei e l'Europeo si sarebbero separati ed egli avrebbe avuto la possibilità di mostrarsi, anche se per un momento solo, e rassicurarla della sua presenza. Ma una tale occasione non si presentò. Mamoulian era un guardiano perfetto e si teneva Carys vicina in ogni istante. Dopo uno scambio di cortesie e saluti salirono sul sedile posteriore di una Rover verde scuro e partirono. Marty corse alla Citroën. Non doveva perderla, qualsiasi cosa accadesse: forse era l'ultima occasione di rintracciarla. L'inseguimento si rivelò difficile. Una volta lasciate le strade di campagna e arrivati all'autostrada, la Rover accelerò con facilità arrogante. Marty li seguì con la prudenza necessaria, cercando di conciliare tattica ed eccitazione.

 

Seduta sul sedile posteriore dell'auto Carys ebbe un pensiero strano, come un guizzo. Ogni volta che batteva le palpebre o chiudeva gli occhi per difendersi dal chiarore, le appariva un'immagine, quella di un corridore. Lo riconobbe in un attimo: l'abito grigio, la nuvola di fumo che usciva dal cofano lo identificavano prima ancora di poterne vedere il viso. Voleva girarsi a guardare, per vedere se, come pensava, era dietro di loro da qualche parte. Ma non era ingenua. Mamoulian avrebbe immaginato che c'era qualcosa, se già non l'aveva capito.

L'Europeo le lanciò un'occhiata. Era un tipo misterioso, pensò, non gli riusciva mai di sapere realmente ciò che stesse pensando. In questo era degna figlia di sua madre. Mentre coi tempo egli aveva imparato a leggere i pensieri di Joseph dall'espressione, di rado Evangeline aveva lasciato trasparire i suoi veri sentimenti. Per molti mesi aveva immaginato che la presenza di lui in casa le fosse indifferente; solo col tempo si era reso conto della verità e delle macchinazioni di lei nei suoi confronti. Talvolta aveva il sospetto che Carys facesse lo stesso. Non era troppo condiscendente? Perfino adesso sorrideva impercettibilmente.

« Ti sei divertita? » si informò.

« Come? »

« Al funerale. »

« No », ribatté in tono vivace. « No, naturalmente. »

« Stavi sorridendo. »

Ogni traccia di sorriso sparì, l'espressione si spense. « Era piuttosto grottesco, secondo me », disse con voce opaca, « vederli recitare tutti davanti alle macchine fotografiche. »

« Non credi che fossero addolorati? »

« Non l'hanno mai amato. »

« E tu sì? »

Sembrò valutare la domanda. « Amore... », disse, facendo fluttuare questa parola nell'aria caldissima, come se volesse vedere cosa ne sarebbe stato. « Sì, credo di averlo amato. »

Mamoulian era a disagio. Voleva avere più presa sulla mente della ragazza, ma lei si rifiutava malgrado gli accaniti tentativi. Senz'altro la paura delle visioni che egli sapeva evocare le avevano dato una patina di ossequiosità, ma egli dubitava di averne fatto davvero una schiava. Il terrore era uno stimolo utile, ma la sua efficacia diminuiva con la ripetizione; ogni volta che lo contrastava egli era obbligato a trovare qualche paura nuova, più spaventosa: questo lo esauriva.

E ora oltre al danno le beffe: Joseph era morto. Era trapassato - come avevano detto nella predica - « serenamente nel sonno ». Neppure morto; quella parola di cattivo gusto era stata eliminata dal vocabolario di tutti gli interessati. Egli era passato nell'aldilà, era trapassato, si era addormentato. Mai era morto. L'Europeo era disgustato dalla banalità e dal sentimentalismo che accompagnavano alla tomba il ladro. Ma ancor più era disgustato da se stesso. L'aveva lasciato andare. E due volte, non una, rovinato dal suo stesso desiderio di concludere la partita curando come si deve i dettagli. Quello, e la preoccupazione di convincere il ladro a venire nel vuoto di buon grado. Tergiversando aveva perso. Mentre minacciava ed evocava visioni, il vecchio satiro se ne era andato alla chetichella.

Normalmente, un imprevisto simile non l'avrebbe disturbato. In fin dei conti aveva la capacità di seguire Whitehead nella morte, e di tirarlo fuori se solo fosse riuscito a impadronirsi del corpo. Ma il vecchio si era cautelato contro una simile eventualità. Il corpo era stato tenuto nascosto, e neppure gli amici più stretti l'avevano potuto vedere. Era stato chiuso in una cassaforte (proprio il luogo più appropriato!) e custodito notte e giorno, per la gioia dei rotocalchi che in queste stranezze ci sguazzavano. Prima di sera sarebbe stato cenere, e Mamoulian avrebbe perso l'ultima occasione di Un nuovo patto permanente.

Eppure...

Perché provava la sensazione che i giochi che avevano fatto in tutti quegli anni -i giochi della Tentazione, dell'Apocalisse, del Rifiuto, della Degradazione e Dannazione - non fossero del tutto finiti? La sua capacità di intuizione, come la sua forza, andava scemando, ma era certo che qualcosa non quadrava. Pensò al sorriso della donna accanto a lui, al segreto che le si leggeva in viso.

« È morto? » le chiese improvvisamente.

Sembrò sconcertata dalla domanda. « Naturalmente », replicò.

« Morto, Carys? »

« Per amor del Cielo, abbiamo appena visto il funerale. »

Carys sentì la mente di lui, una presenza concreta alla nuca. Nelle settimane precedenti questa scena si era ripetuta molte volte - una prova di forza fra le volontà - e lei sapeva che adesso lui era più debole. Comunque non tanto debole da renderlo trascurabile: se gli faceva comodo poteva ancora suscitare il terrore.

« Dimmi cosa pensi... » le intimò Mamoulian « ... così non devo andare a scavare per scoprirlo. »

Se non avesse risposto alle sue domande e se fosse entrato in lei con la forza, avrebbe visto di sicuro il corridore.

« Ti prego », disse fingendo vigliaccheria, « non farmi male. »

La mente si fece un po' indietro.

« È morto? » la interrogò ancora Mamoulian.

« La notte che è morto... », cominciò lei. Cosa poteva dire se non la verità? Nessuna bugia sarebbe servita; lui l'avrebbe saputo.

« ... la notte che mi dissero che era morto non provai niente. Non cambiò nulla. Non come quando morì la mamma. »

Lanciò un'occhiata sottomessa a Mamoulian, per rafforzare in lui l'illusione di asservimento.

« Cosa ne deduci? » le chiese.

« Non so », replicò con tutta sincerità.

« Cosa immagini? »

Di nuovo sinceramente: « Che non è morto ».

Per la prima volta Carys vide sorridere l'Europeo. Era solo un accenno di sorriso ma c'era. Sentì che ritirava i tentacoli del suo pensiero e si accontentava di meditare. Non l'avrebbe incalzato oltre. Troppe cose da progettare.

« Oh, Pellegrino », disse lui sottovoce, rimproverando l'invisibile nemico come un bimbo che ha sbagliato me che si ama molto, « me l'hai quasi fatta. »

Marty seguì la macchina che uscì dall'autostrada e attraversò la città fino alla casa di Caliban Street. Era il tardo pomeriggio quando l'inseguimento terminò. Dopo aver parcheggiato a distanza di sicurezza li vide uscire dall'auto. L'Europeo pagò l'autista e poi, dopo aver perso un po' di tempo per aprire il portone, lui e Carys entrarono in una casa le cui tende di pizzo sudicie e l'intonaco che si scrostava non suggerivano niente di anomalo, in una strada dove tutte le case avevano bisogno di restauri. Al piano superiore si accese una luce: abbassarono una tendina.

Rimase in macchina per un'ora, tenendo d'occhio la casa, ma non accadde nulla. Lei non comparve alla finestra; e neppure lanciò una lettera avvolta su di un sasso con i baci per il suo eroe che attendeva là fuori. In realtà Marty non si aspettava segnali di questo genere; erano roba da romanzo e invece questo era reale. Pietre sudicie, finestre sporche, oscuri terrori che si annidavano all'inguine.

Dalla notizia della morte di Whitehead non aveva mangiato in modo decente; ora per la prima volta da quella mattina si sentì veramente affamato. Lasciò la casa al crepuscolo che avanzava lentamente e andò a cercare di che sostentarsi.

 

53

 

Luther stava facendo i bagagli. Dalla morte di Whitehead la sua vita era stata un turbine ed egli ne era frastornato. Con tanto denaro in tasca gli venivano in mente nuove idee ogni istante, fantasie ora realizzabili. Almeno per l'inizio aveva deciso di tornare a casa in Giamaica per una lunga vacanza. Ne era venuto via all'età di otto anni, diciannove anni fa; i suoi ricordi dell'isola erano dorati. Era preparato a una delusione e se il posto non gli fosse piaciuto... nessun problema. Un uomo che come lui era diventato da poco ricco non aveva bisogno di fare piani particolari; poteva trasferirsi da un'altra parte. Un'altra isola, un altro continente.

Aveva quasi finito i preparativi per la partenza quando una voce lo chiamò dal piano di sotto. Non era una voce che conosceva.

« Luther? Ci sei? »

Andò alla sommità delle scale. La donna con cui divideva un tempo la casa se n'era andata, l'aveva lasciato sei mesi prima, portandosi via i bambini. La casa avrebbe dovuto essere vuota. Invece c'era qualcuno nell'ingresso; non una ma due persone. Il suo interlocutore, un uomo alto, maestoso quasi, lo fissava dal fondo delle scale, mentre la luce del pianerottolo gli illuminava la fronte liscia e spaziosa. Luther rammentò quel viso; era al funerale forse? Dietro a costui, nell'ombra, c'era una figura più pesante.

« Una parola », disse il primo.

« Come siete entrati? Chi diavolo siete? »

« Solo una parola. Sul tuo datore di lavoro. »

« Siete della stampa, vero? Sentite, vi ho detto tutto quello che so. Ora fuori dai piedi prima che chiami la polizia. Non avete alcun diritto di irrompere qui. »

Il secondo uomo uscì dall'ombra e guardò in su, verso di lui. Il viso era truccato; era evidente anche a quella distanza. La pelle era incipriata, le guance imbellettate: sembrava una damina da pantomima. Luther arretrò di qualche passo, con la mente che galoppava. « Non aver paura », disse il primo, e il modo in cui lo disse spaventò Luther ancora di più. Tanta cortesia quali motivi poteva nascondere?

« Se non siete fuori di qui entro dieci secondi... », li avvertì.

« Dov'è Joseph? » chiese quello educato.

« È morto. »

« Sei sicuro? »

« Ma certo che sono sicuro. L'ho vista al funerale, vero? Non so chi è lei ... »

« Mi chiamo Mamoulian. »

« Beh, c'era, no? L'ha visto da sé. È morto. »

« Ho visto una cassa. »

« È morto, amico », insisté Luther.

« Tu sei quello che l'ha trovato, ho saputo », continuò l'Europeo facendo silenziosamente qualche passo nell'ingresso verso le scale.

« Esatto. Nel suo letto », rispose Luther. Forse erano giornalisti, dopo tutto. « L'ho trovato a letto. È morto nel sonno. »

« Scendi qui sotto. Dacci qualche dettaglio, per favore. »

« Sto benissimo dove sono. »

L'Europeo alzò lo sguardo sul viso corrucciato dell'autista; provò a tastargli la nuca. C'era troppo calore e sudiciume là dentro; non si sentiva abbastanza in forze per investigare. C'erano altri metodi comunque, più brutali. Fece un cenno al Mangialamette, che sentiva di aver accanto per il profumo di sandalo.

« Questo è Anthony Breer », spiegò. « A suo tempo ha mandato all'altro mondo bambini e cani - ti ricordi i cani, Luther? - con ammirevole disinvoltura. Non ha paura di uccidere. Anzi ci prova un gusto straordinario. »

La faccia da pantomima balenò dal fondo delle scale, con gli occhi pieni di desiderio.

« Ora per favore », proseguì Mamoulian, « per il bene di entrambi: la verità. »

Luther aveva la gola così asciutta che quasi non gli uscivano le parole. « Il vecchio è morto », affermò. « È tutto quello che so. Se sapessi qualcos'altro ve lo direi. »

Mamoulian annuì; mentre parlava aveva un'aria di compassione come se fosse sinceramente preoccupato di quello che doveva accadere dopo.

« Tu mi dici qualcosa che io voglio credere; e lo dici con tanta convinzione che quasi ci credo. In teoria potrei andarmene, soddisfatto, e tu potresti tornare ai tuoi affari. Tranne... », sospirò profondamente, « tranne che non ti credo abbastanza, in realtà. »

« Sentite, questa è casa mia, cazzo! » urlò Luther, sentendo che era necessario adottare misure estreme. L'uomo chiamato Breer si era sbottonato la giacca. Sotto non portava camicia. Nel grasso del petto erano conficcati sottopelle degli spiedi, che trafiggevano i capezzoli in croce. Alzò le mani e ne tirò fuori due; non uscì sangue. Armato di questi aghi di acciaio trascinò i piedi fino alla base della scala.

« Non ho fatto niente », si difese Luther.

« Sarà come dici. »

Il Mangialamette cominciò a salire le scale. Il petto senza cipria era glabro e giallognolo.

« Aspettate! »

Al grido di Luther Breer si fermò.

« Sì? » fece Mamoulian.

« Lo tenga lontano! »

« Se hai qualcosa da dirmi sputa il rospo. Sono tutt'orecchi. »

Luther fece segno di sì. Sulla faccia di Breer comparve un'espressione delusa.

Luther inghiottì prima di parlare. L'avevano pagato con quella che per lui era una piccola fortuna per non dire quello che ora avrebbe detto, ma Whitehead non lo aveva avvertito che sarebbe successo questo. Si era aspettato un gruppo schiamazzante di reporter curiosi, forse anche un'offerta allettante per scrivere la sua versione sui giornali della domenica, ma non questo: non quest'orco con la faccia da pupattola e le ferite che non sanguinavano. Cristo, c'era un limite oltre il quale il denaro non poteva comprare il silenzio.

« Cos'hai da dirmi? », chiese Mamoulian.

« Non è morto », sussurrò Luther. Ecco fatto: non era poi così difficile, no? « Era tutta una messa in scena. Lo sapevano solo due o tre persone: io ero uno di loro. »

« Perché tu? »

Di questo Luther non era sicuro. « Penso che si fidasse di me », disse alzando le spalle.

« Ah. »

« E poi qualcuno doveva trovare il corpo e io ero il più credibile. Voleva semplicemente togliersi di mezzo in modo definitivo. Ricominciare dove non lo avrebbero mai trovato. »

« E dove? »

Luther scosse la testa. « Non lo so, amico. In un posto qualsiasi, credo, dove nessuno conosce la sua faccia. Non me l'ha mai detto. »

« Deve averlo accennato. »

« No. »

Breer si sentì rincuorato dalla reticenza di Luther; si illuminò tutto.

« Suvvia », cercò di persuaderlo Mamoulian. « Mi hai detto la cosa più importante; che male c'è a dirmi il resto? »

« Ma non c'è altro. »

« Perché te la prendi tanto a cuore? »

« Non me l'ha mai detto, amico! » Breer salì un gradino; un altro, un altro.

« Deve averti dato qualche idea », fece Mamoulian. « Pensaci! Pensaci! Mi hai detto che si fidava di te. »

« Non fino a questo punto! Ehi, vuoi tenermelo lontano? »

Gli spiedi scintillarono.

« Per amor del Cielo tienimelo lontano! »

 

C'erano molte cose che suscitavano pena e compassione. La prima era che un essere umano potesse essere così sereno e brutale nei confronti di un altro. La seconda che Luther non sapesse niente. Come aveva proclamato, la sua riserva di informazioni era assai limitata. Ma quando l'Europeo fu certo dell'ignoranza di Luther, questi non poteva più essere richiamato. Cioè, non era del tutto vero. La resurrezione era perfettamente plausibile. Ma Mamoulian aveva altro da fare con la sua forza in declino; e inoltre lasciare morto quell'uomo era l'unico modo di compensare quello che aveva sofferto inutilmente.

 

« Joseph. Joseph. Joseph », mormorò Mamoulian in tono di rimprovero. E le tenebre calarono.

 

X

 

Niente; e dopo

 

54

 

Dopo essersi procurato tutto quanto poteva essergli utile per una lunga attesa vicino alla casa di Caliban Street - qualcosa da leggere, cibo, bevande - Marty vi ritornò e rimase di guardia tutta la notte, con una bottiglia di Chivas Regal e l'autoradio che gli facevano compagnia. Poco prima dell'alba ritornò nella sua stanza, ubriaco, dove dormì ininterrottamente fino a mezzogiorno. Quando si svegliò, gli sembrava di avere un pallone al posto della testa; ma aveva qualcosa di molto importante da fare quel giorno. Non doveva pensare al Kansas: solo alla casa e a Carys che ci era chiusa dentro.

Dopo una colazione a base di hamburger, ritornò nella strada, posteggiando abbastanza lontano per non dare nell'occhio, ma sufficientemente vicino per controllare chi entrava e chi usciva. Trascorse i tre giorni seguenti - durante i quali la temperatura passò dai ventotto ai trentadue gradi - nello stesso posto. A volte si rifugiava qualche minuto in macchina per schiacciare un pisolino, ma più spesso ritornava a Kilburn per dormire un'ora o due. La fornace di quella strada gli era ormai diventata familiare in tutti i suoi aspetti. La vide prima dell'alba, mentre acquistava una sua consistenza. La vide a metà mattina, con le giovani mamme a spasso con i bambini, tutti impegnati in quella passeggiata; la vide anche nell'allegro pomeriggio e alla sera, quando la luce rosata del sole al tramonto esaltava il colore dei mattoni e delle tegole. Gli fu rivelata la vita pubblica e privata degli abitanti di Caliban Street. Il bambino spastico al numero 67, le cui crisi di rabbia erano un vizio segreto. La donna del numero 81 che ogni giorno accoglieva un uomo alle dodici e quarantacinque. Il marito, un poliziotto a giudicare dalla camicia e dalla cravatta, veniva accolto ogni sera con ardore variabile, proporzionale al tempo che la donna e il suo amante avevano passato insieme all'ora di pranzo. E altre storie: una dozzina, due dozzine che si intrecciavano e si dividevano di nuovo.

Per quanto riguardava la casa, vide del movimento occasionale, ma di Carys neanche l'ombra. Le persiane delle finestre erano sempre chiuse durante il giorno e venivano aperte solo nel tardo pomeriggio, quando il sole non era più tanto forte. L'unica finestra dell'ultimo piano sembrava perennemente chiusa dall'interno.

Marty giunse alla conclusione che nella casa c'erano solo due persone, oltre a Carys. Uno, naturalmente, era l'Europeo. L'altro era il macellaio che aveva quasi affrontato al santuario: quello che aveva ammazzato i cani. Andava e veniva una, due volte al giorno; di solito per cose piuttosto banali. Una visione sgradevole, con quei tratti truccati, la camminata incerta, le occhiate maliziose che lanciava ai ragazzini che giocavano.

Durante quei tre giorni Mamoulian non lasciò la casa; o perlomeno Marty non lo vide uscire. Gli sembrava che fosse apparso furtivamente alla finestra del piano di sotto, sbirciando fuori nella strada assolata, ma non molto di frequente. E fin quando c'era lui in casa, Marty sapeva bene che non era il caso di rischiare un salvataggio. Per quanto potesse essere grande il suo coraggio - e lui non ne possedeva certo a dismisura - non c'era modo di lottare contro i poteri dell'Europeo. No: doveva starsene lì buono ad aspettare un'occasione più sicura per farsi avanti.

Durante il quinto giorno di sorveglianza, con il caldo che continuava ad aumentare, la fortuna si mise dalla sua parte. Alle otto e cinquanta, mentre il crepuscolo scendeva sulla strada, un taxi si fermò davanti alla casa e Mamoulian, vestito per andare al casinò, vi salì. Circa un'ora più tardi anche l'altro uomo apparve sulla soglia: benché il buio non permettesse di vederlo perfettamente in viso, sembrava comunque affamato. Marty lo guardò chiudere la porta, poi scrutare con attenzione lungo la strada prima di andarsene. Attese fino a quando la figura traballante scomparve dietro l'angolo di Caliban Street, poi scese dall'auto. Deciso a non commettere il minimo errore in quella che era la sua prima e probabilmente unica possibilità di salvare Carys, andò fino all'angolo per controllare che il macellaio non stesse semplicemente facendo una passeggiatina serale. Ma la grossa sagoma dell'uomo stava andando in città senza ombra di dubbio. Solo quando fu abbastanza lontano da divenire irriconoscibile, Marty ritornò alla casa.

Tutte le finestre erano chiuse, sia davanti sia sul retro: non si vedevano luci. Forse - quel dubbio lo assillava - lei non era nemmeno in casa, forse era uscita mentre lui sonnecchiava in macchina. Pregò che non fosse così, e, pregando, aprì la porta sul retro usando il piede di porco che aveva comperato appositamente. Quello e una torcia: gli oggetti tipici di un ladro che si rispetti.

All'interno l'atmosfera era anonima. Iniziò a cercare in ogni stanza al piano terra, deciso a essere il più sistematico possibile. Non era il caso di comportarsi in modo poco professionale: niente grida, niente corse a casaccio, solo una ricerca minuziosa ed efficiente. Le stanze erano completamente vuote: né persone né mobili. Solo qualche oggétto, abbandonato dai vecchi proprietari della casa, che non faceva che accentuare il senso di desolazione. Salì una rampa di scale.

Al secondo piano trovò la stanza di Breer. Puzzava: un pessimo miscuglio di profumo e di carne rancida. In un angolo c'era un grande televisore in bianco e nero, lasciato acceso, che emetteva suoni simili a fischi sibilanti: stavano trasmettendo una specie di gioco a premi. Il conduttore del programma urlava senza emettere alcun suono, fingendosi disperato per la sconfitta del concorrente. La tremolante luce metallica illuminava i pochi mobili della stanza: un letto con un materasso e parecchi cuscini macchiati; uno specchio appoggiato a una sedia, il cui fondo era coperto di cosmetici e acqua di colonia. Sulle pareti erano appese foto tratte da un libro sulle atrocità della guerra. Si limitò a gettare un'occhiata a quelle fotografie, ma i dettagli che notò, nonostante la debole luce, erano spaventosi. Chiuse la porta su quell'orrore e provò in quella successiva. Era il bagno. Oltre a quello, la stanza con la vasca da bagno. La quarta e ultima porta di quel piano era nascosta dietro una specie di corridoio ed era chiusa a chiave. Girò la maniglia in tutte le direzioni, poi appoggiò l'orecchio al legno per sentire eventuali rumori provenienti dall'interno.

« Carys? »

Non ebbe risposta: nessun segno che la stanza fosse occupata.

« Carys? Sono Marty. Mi senti? » mosse di nuovo la maniglia, questa volta con più forza. « Sono Marty. »

Diventò impaziente. Lei era lì, dietro la porta - improvvisamente fu assalito dall'assoluta certezza della sua presenza. Diede un calcio alla porta, più per un senso di delusione che altro; poi, appoggiando il piede sulla maniglia, spinse con tutta la forza. In seguito a quell'assalto il legno iniziò a scheggiarsi. dopo un mezza dozzina di colpi la serratura si ruppe: si appoggiò con una spalla alla porta e la spalancò.

La stanza sapeva di lei, era piena del suo calore. Comunque, a parte la sua presenza e il suo calore, era praticamente vuota. Solo un secchio in un angolo, e qualche piatto vuoto; qualche libro per terra, una coperta, un tavolino ingombro di ciò che le serviva per drogarsi: aghi, siringhe, piatti, fiammiferi. Lei era sul letto, rannicchiata come un feto, in un angolo della stanza. Una lampada, con una lampadina da poche candele, stava nell'altro angolo, coperta in parte da uno straccio per abbassare ulteriormente la luce. Carys indossava soltanto una maglietta e un paio di mutande. Il resto degli abiti -jeans, maglioni, camicie - era sparpagliato per terra. Quando alzò lo sguardo su di lui, vide che il sudore le aveva incollato i capelli sulla fronte.

« Carys. »

All'inizio non sembrò riconoscerlo.

« Sono io. Sono Marty. »

Lei aggrottò leggermente le sopracciglia. « Marty? » disse, con la voce ridotta a un soffio. Le pieghe sulla fronte si fecero più profonde: non era sicuro che lo stesse vedendo, aveva gli occhi pieni di lacrime. « Marty », ripeté, e questa volta il nome sembrò assumere un significato.

« Sì, sono io. »

Attraversò la stanza per andarle vicino e lei fu quasi sorpresa dalla sua improvvisa vicinanza. Spalancò gli occhi, dando segni di riconoscerlo, ma con una certa paura. Si tirò a sedere, con la maglietta incollata al busto nudo. L'incavo del braccio era pieno di punture e graffiato.

« Non venirmi vicino. »

« Cosa c'è che non va? »

« Non venirmi vicino », ripeté con ira.

Fece un passo indietro di fronte alla ferocia di quell'ordine. Che cosa diavolo le avevano fatto?

Carys si sedette un po' meglio e mise la testa fra le gambe, con i gomiti sulle ginocchia.

« Aspetta... » disse, ancora in un bisbiglio.

La respirazione diventò regolare. Lui rimase ad aspettare, rendendosi conto per la prima volta che la stanza sembrava ronzare. Forse non era solo la stanza: forse quel gemito - come se da qualche parte nella casa ci fosse un generatore che ronzava da solo - c'era sempre stato, fin da quando era entrato. Se era così, non lo aveva notato. Ora che aspettava che lei terminasse quel suo strano rituale che sembrava tenerla occupata, quel brusio lo innervosiva. Sottile, eppure così diffuso che dopo averlo ascoltato per pochi secondi era impossibile capire se si trattava di un semplice fischio nell'orecchio o meno. Inghiottì la saliva: le orecchie si stapparono. Quel suono continuava, monotono. Alla fine, Carys alzò lo sguardo.

« Va tutto bene », disse. « Lui non è qui. »

« Te l'avrei potuto dire anch'io. Se ne è andato due ore fa. L'ho visto allontanarsi. »

« Non c'è bisogno che sia qui fisicamente », affermò Carys, sfregandosi il collo.

« Stai bene? »

« Sì, sto bene. » A giudicare dal tono della sua voce sembrava che si fossero visti il giorno prima. Si sentiva uno sciocco, come se il suo sollievo, il suo desiderio di prenderla e portarla via, fosse fuori posto, quasi una cosa esagerata.

« Dobbiamo andarcene », disse. « Potrebbero tornare. »

Lei scosse la testa. « È inutile. »

« Che cosa intendi dire con: è inutile? »

« Se tu solo sapessi che cosa può. fare! »

« L'ho visto, credimi. »

Ripensò a Bella, povera Bella morta, con i cuccioli che succhiavano del marciume. Aveva visto abbastanza, e anche qualcosa di più.

« È inutile cercare di scappare », insisté lei. « Ha libero accesso alla mia mente. Per lui sono un libro aperto. » Questa affermazione era esagerata. Mamoulian stava perdendo sempre più la capacità di controllarla. Ma lei era stanca di quella lotta: stanca quasi quanto l'Europeo. A volte si chiedeva se lui non le avesse attaccato quella noia di vivere; se una parte di lui nel suo cervello non avesse corrotto qualsiasi possibilità con l'idea della dissoluzione. Vide quello in Marty: in quel viso che aveva tanto sognato, in quel corpo che aveva tanto desiderato. Vide come anche lui sarebbe invecchiato, decaduto e morto, come tutto decade e muore. Perché sforzarsi di stare in piedi, le stava dicendo la sua stanchezza, se è solo una questione di tempo e poi cadremo di nuovo?

« Non riesci a bloccarlo fuori? » chiese Marty.

« Sono troppo debole per resistergli. Con te sarò ancora più debole. »

« Perché? » Quell'affermazione lo aveva spaventato.

« Non appena mi rilasso, lui arriva. Vedi? Quando mi arrendo a qualcosa, o a qualcuno, lui può avere libero accesso. »

Marty osservò il viso di Carys sul cuscino e ripensò per un attimo al modo in cui un'altra faccia sembrava aver fatto capolino fra le sue dita. L'Ultimo Europeo li aveva osservati anche allora, condividendoquell'esperienza. Un ménage à trois per uomo, donna e spirito. Quel pensiero osceno sollevò una rabbia ancor maggiore in lui: non la rabbia superficiale dell'uomo onesto, ma un profondo rifiuto dell'Europeo in tutta la sua decadenza. Qualsiasi cosa fosse successa, per niente al mondo avrebbe lasciato Carys in mano a Mamoulian. Se fosse stato necessario, l'avrebbe portata via con la forza, contro la sua volontà. Una volta fuori da quella camera ronzante, con la tappezzeria che si staccava, si sarebbe ricordata di quant'era bella la vita: glielo avrebbe fatto ricordare lui. Avanzò di qualche passo verso di lei e si piegò per toccarla. Lei ebbe un sussulto.

« È occupato », la rassicurò, « è al casinò. »

« Ti ucciderà », disse semplicemente, « se scoprirà che sei stato qui. »

« Mi ucciderà comunque, qualsiasi cosa succeda adesso. Ho interferito. Ho visto il suo nascondiglio e combinerò qualcosa prima di andarcene, giusto per farmi ricordare da lui. »

« Fai quello che vuoi », disse lei scrollando le spalle. « Sono fatti tuoi. Ma lasciami in pace. »

« Allora aveva ragione Papà », commentò Marty con amarezza.

« Papà? Che cosa ti ha detto? »

« Che volevi rimanere per sempre con Mamoulian. »

« No. »

« Tu vuoi essere come lui. »

« No, Marty, no! »

« Immagino che ti rifornisca della roba migliore, eh? E io non posso, non è così? » Lei non negò, aveva un'aria imbronciata. « Cosa cazzo sono venuto a fare qui? » sbottò Marty. « Sei felice, vero? Cristo: sei felice. »

Era ridicolo pensare a come si fosse sbagliato circa l'esito di quel salvataggio. Lei era contenta di stare in quella topaia, a condizione che le fornissero sempre la droga. Aveva parlato solo in apparenza delle invasioni di Mamoulian. In realtà riusciva a perdonargli qualsiasi crimine: bastava che non le facesse mai mancare la roba.

Lui si alzò: « Dov'è la sua stanza? »

« No, Marty. »

« Voglio vedere dove dorme. Dov'è la stanza? »

Carys si appoggiò su un braccio. Aveva le mani calde e umide.

« Per favore, Marty, vattene. Questo non è un gioco. Non è che tutto venga perdonato una volta giunti alla fine, capisci? E non ha termine neppure quando muori. Capisci quello che sto dicendo, vero? »

« Oh, certo », disse. « Capisco. » Le mise le mani sul viso. Il respiro di Carys sapeva di acido. Anche il suo-, pensò, ma era colpa del whisky.

« Non sono più un fanciullo innocente: so che cosa sta succedendo. Non tutto, ma abbastanza. Ho visto cose che vorrei non aver mai visto, ho udito storie... Cristo, sì che capisco. » Come fare per inculcarle quelle cose bene in testa? « Mi sto cagando sotto. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. »

« E ne hai ben motivo », affermò lei freddamente.

« Non ti importa sapere quello che ti accadrà? »

« Non molto. »

« Ti troverò della roba », dichiarò. « Se è solo per quello che rimani qui, te la procurerò. »

Forse un dubbio le attraversò il viso? Insistette su quello. « Ho visto che mi cercavi al funerale. »

« C'eri? »

« Perché continuavi a guardare se non volevi che venissi? »

Lei si strinse nelle spalle. « Non lo so. Pensavo che te ne fossi andato con Papà.»

« Morto, vuoi dire? »

Lei aggrottò le sopracciglia. « No. Andato via. Insieme con lui. »

Gli ci volle un momento per cogliere esattamente il significato di quelle parole. Poi, alla fine, disse piano: « Intendi dire che non è morio? »

Lei scosse la testa. « Pensavo lo sapessi. Credevo che fossi coinvolto nella sua fuga. »

Era ovvio che il vecchio bastardo non fosse morto. I grandi uomini non si sdraiano così semplicemente per morire poi dietro le quinte.

Aspettano il momento buono dopo gli atti centrali - riveriti, compianti e calunniati - per ricomparire in scena per il gran finale: una scena di morte, un matrimonio.

« Dov'è? » chiese Marty.

« Non lo so, e non lo sa nemmeno Mamoulian. Ha cercato di convincermi a trovarlo, come avevo trovato Toy, ma non posso farlo. Non riesco più a mettere a fuoco. Una volta ho anche provato a rintracciare te, ma è stato inutile. Riesco a malapena a vedere cosa c'è dietro quella porta. »

« Ma sei riuscita a trovare Toy? »

« È stato all'inizio. Ora... mi sono esaurita. Gli ho detto che mi fa male, come se qualcosa stesse per rompersi dentro di me. » Il dolore apparve sul suo viso.

« E nonostante questo vuoi rimanere? »

« Presto sarà finito tutto. Per tutti noi. »

« Vieni con me. Ho degli amici che possono aiutarci », la supplicò, stringendole i polsi. « Per l'amor del cielo, non vedi che ho bisogno di te? Per favore; ho bisogno di te. »

« Sono inutile, sono debole. »

« Anch'io. Anch'io sono debole. Ci meritiamo l'un l'altra. »

Quell'idea, con tutto il suo cinismo, sembrò piacerle. Rifletté un attimo prima di dire: « Forse hai ragione », in tono molto pacato. Il suo viso era un misto di indecisione, droga e dubbi. Alla fine disse: « Mi vesto ».

La abbracciò forte, respirando il cattivo odore dei suoi capelli, consapevole del fatto che quella poteva essere la prima e ultima delle sue vittorie, ma comunque contento. Lei si sciolse dolcemente dall'abbraccio e andò a prepararsi. La guardò infilarsi un paio di jeans, ma la sua aria imbarazzata lo convinse a toglierle gli occhi di dosso. Uscì sul pianerottolo. Senza la presenza di Carys il ronzio gli riempì le orecchie: ora il brusio era più forte che mai. Accendendo la torcia salì l'ultima rampa di scale che portava alla stanza di Mamoulian. A ogni gradino l'intensità del fischio aumentava risuonando lungo le scale e le pareti - una presenza vivente.

Sul pianerottolo dell'ultimo piano c’era solo una porta: apparentemente la stanza dietro quella porta occupava tutto il piano. Mamoulian, di natura aristocratica, aveva scelto il luogo più spazioso per sé. La porta era stata lasciata aperta. L'Europeo non aveva paura degli intrusi. Quando Marty la spinse, oscillò di qualche centimetro, ma la sua torcia non riuscì a penetrare quell'oscurità. Rimase sulla soglia come un bambino indeciso se entrare nel Castello dei Fantasmi.

Ciò che aveva saputo di Mamoulian, aveva fatto nascere in lui una forte curiosità nei confronti di quell'uomo. C'era il male lì, senza ombra di dubbio, forse dei poteri terribili per compiere violenze. Ma come la faccia di Mamoulian era apparsa sotto quella di Carys, così probabilmente c'era una faccia sotto quella dell'Europeo. Forse più di una. Una cinquantina di facce, ognuna diversa dalla precedente, che risalivano a qualche stato più vecchio di Betlemme. Doveva darci un'occhiata, no? Solo un'occhiata, per ciò che era successo. Con aria decisa si spinse nell'oscurità vivente della stanza.

« Marty! »

Qualcosa tremolò di fronte a lui, una bolla gli scoppiò nella testa mentre Carys lo chiamava.

« Marty! Sono pronta! » Il ronzio nella stanza sembrava essere aumentato da quando era entrato. Ora, mentre si tirava indietro, si abbassò fino a diventare un bisbiglio di disappunto. Non andare, sembrava sussurrare. Perché andare? Lei può aspettare. Lasciala aspettare. Stai ancora un po' e vedi quello che c'è da vedere.

« Non c'è tempo », disse ancora Carys.

Quasi arrabbiato per essere stato interrotto, Marty chiuse la porta su quella voce e scese.

« Non mi sento molto bene », disse lei quando Marty la raggiunse sul pianerottolo.

« E lui? Sta cercando di entrare in te? »

« No. Mi gira un po' la testa. Non mi ero resa conto di essere tanto debole. »

« Fuori c'è una macchina », la rassicurò, offrendole un braccio. Ma lei fece un gesto per allontanarlo.

« C'è un pacchetto con le mie cose », disse. « Nella stanza. »

Stava raccogliendo il pacchetto quando lei fece un gesto come di protesta inciampando nelle scale.

« Stai bene? »

« Sì », rispose, ma quando Marty apparve sulle scale con il pacchetto avvolto in una federa gli rivolse un'occhiata spenta. « La casa vuole che resti qui », bisbigliò.

« Andremo avanti », ribatté, precedendola per evitare che inciampasse ancora. Arrivarono nel corridoio senza ulteriori problemi. « Non possiamo uscire dalla porta principale », avvertì Carys. « è, chiusa a doppia mandata dall'esterno. »

Mentre ritornavano indietro lungo il corridoio, udirono in modo inequivocabile il rumore della porta sul retro che veniva aperta.

« Merda », borbottò Marty sottovoce. Lasciò andare il braccio di Carys e scivolò nell'oscurità fino alla porta principale, cercando di aprirla. Come Carys aveva detto, era chiusa a doppia mandata. Si stava facendo prendere dal panico, ma in quella confusione udì una voce calma, una voce che sapeva bene essere quella della stanza che gli diceva: Non c'è bisogno di preoccuparsi. Vieni su. Mettiti al sicuro in me. Nasconditi in me. Non cedette alla tentazione. Il viso di Carys era girato verso di lui.

« E Breer », disse in un soffio. L'assassino dei cani era in cucina.

Marty lo sentiva, e sentiva il suo odore. Carys tirò la manica di Marty e indicò una porta chiusa da un catenaccio sotto la rampa delle scale. La cantina, pensò. Pallida nell'oscurità, lei indicò di nuovo la porta. Lui annuì.

Breer, occupato per i fatti suoi, stava canticchiando. Era strano immaginarlo contento, quel macellaio sgraziato; tanto contento da canticchiare perfino una canzone.

Carys aveva aperto il catenaccio della porta della cantina. I gradini, scarsamente illuminati dalla luce che proveniva dalla cucina, scendevano in una specie di fossa. Sapeva di disinfettante e di trucioli di legno: odori sani. Scesero lentamente le scale rannicchiandosi a ogni passo ogni volta che i gradini cigolavano. Ma sembrava che il Mangialamette fosse troppo occupato per udirli. Non c'era alcun segno che li stesse seguendo. Marty chiuse la porta della cantina dietro di lui, sperando ardentemente che Breer non notasse che il catenaccio era stato manomesso, poi rimase ad ascoltare.

Prima il rumore dell'acqua che scorre, poi il tintinnio delle tazze, forse una teiera: il mostro si stava preparando la camomilla.

I sensi di Breer non erano più acuti come un tempo. Il caldo dell'estate lo aveva reso fiacco e debole. La pelle gli puzzava, gli cadevano i capelli e soffriva di stitichezza. Aveva deciso che doveva andare in vacanza. Una volta che l'Europeo avesse trovato Whitehead e l'avesse ucciso - ormai era sicuramente solo questione di giorni - se ne sarebbe andato a vedere l'Aurora Boreale. Ciò avrebbe significato abbandonare la ragazza - avvertiva la sua vicinanza, a pochi metri da lui - ma per allora lei avrebbe comunque perso il suo fascino. Era diventata molto più incostante di un tempo e la bellezza era solo transitoria. Nel giro di due settimane, tre, se avesse fatto freddo, tutto il suo fascino sarebbe svanito.

Si sedette al tavolo e si versò una tazza di camomilla. Il suo aroma, una volta un'autentica gioia per lui, era troppo sottile per le sue narici intoppate, ma bevve lo stesso, per amore della tradizione. Più tardi sarebbe andato nella sua stanza a guardare le soap-opera che gli piacevano tanto; forse avrebbe guardato anche nella stanza di Carys, per osservarla mentre dormiva, e per obbligarla, nel caso si fosse svegliata, a fare la pipì di fronte a lui. Perso in quel sogno, si sedette e bevve la camomilla.

Marty aveva sperato che Breer si ritirasse nella sua stanza con il decotto, lasciandoli liberi di passare per la porta sul retro, ma era chiaro che l'altro aveva intenzione di stare alzato per un po'.

Ritornò da Carys nell'oscurità. Era sulle scale dietro di lui, tremando dalla testa ai piedi, esattamente come lui. Stupidamente aveva lasciato l'unica arma che possedeva, il piede di porco, da qualche parte nella casa: forse nella stanza di Carys. Nel caso si fosse trovato a faccia a faccia con Breer, era disarmato. E, cosa ancora peggiore, il tempo passava. Fra quanto sarebbe tornato a casa Mamoulian? A quel pensiero il cuore gli sobbalzò. Scivolò lungo le scale, con le mani sui freddi mattoni del muro, passò davanti a Carys ed entrò nella cantina. Forse lì avrebbe trovato un'arma di qualunque tipo. Forse, come speranza estrema, esisteva un'altra uscita. Comunque c'era poca luce. Non c'erano fessure che lasciassero supporre la presenza di una botola o di una carbonaia. Assicuratosi di essere fuori dalla linea diretta della porta, accese la torcia. La cantina non era completamente vuota. C'era un telone cerato che la divideva in due, come un muro artificiale.

Mise una mano sulla parte inferiore del tetto e si fece strada lungo la cantina passo dopo passo, afferrandosi alle tubature sul soffitto per mantenere l'equilibrio. Spostò il telone e diresse il fascio di luce della torcia nello spazio che si trovava dietro al telone. In quel momento gli si rivoltò lo stomaco. Fu sul punto di gridare: riuscì a trattenersi appena in tempo.

A uno o due metri da lui c'era un tavolo, dove sedeva una ragazza piuttosto giovane. Lo stava fissando.

Marty si mise un dito sulle labbra per farla star zitta prima che urlasse. Ma non ce n'era bisogno. Non si era mossa e nemmeno aveva parlato. Lo sguardo piatto dei suoi occhi non era dovuto a una malattia mentale. La ragazza era morta, lo aveva capito solo in quel momento. C'era della polvere su di lei.

« Oh, Cristo! » sussurrò, molto piano.

Carys lo udì. Si girò e si incamminò verso il fondo delle scale.

« Marty? » mormorò.

« Stai lontana », le intimò, incapace di staccare gli occhi dalla ragazza morta. Non era soltanto con il corpo che potevano deliziarsi i suoi occhi. C'erano anche i coltelli e il piatto sulla tavola di fronte a lei, con un tovagliolo amorevolmente spiegato e appoggiato sul grembo. Vide che sul piatto c'era della carne, tagliata sottile come da un esperto macellaio. Andò oltre quel corpo, cercando di sfuggire a quella vista. Passando vicino al tavolo urtò il tovagliolo di seta che cadde in mezzo alle gambe della ragazza.

Due immagini orribili, due brutali visioni, si impadronirono di lui, una dopo l'altra. Il tovagliolo aveva coperto accuratamente un angolo della coscia della ragazza dalla quale era stata affettata la carne che c'era nel piatto. Nello stesso momento si rese conto di un'altra cosa: aveva mangiato quella carne, dietro insistenza di Whitehead, nella sua stanza alla tenuta. Era davvero una leccornia squisita: aveva lasciato il piatto vuoto.

La nausea si impadronì di lui. Lasciò cadere la torcia mentre cercava di reprimere il vomito, ma non riuscì a mantenere il controllo fisico. L'odore acido dei succhi gastrici dello stomaco riempì la cantina. Era impossibile resistere a quell'orrore.

Sopra la sua testa, il Mangialamette si alzò dal tavolo, spinse indietro la sedia e uscì dalla cucina.

« Chi è? » chiese con la sua voce rauca. « Chi c'è laggiù? »

Andò deciso verso la porta della cantina e l'aprì. Una debole luce fluorescente scivolò lungo le scale.

« Chi c'è? » chiese di nuovo, iniziando a scendere in direzione della luce, con i piedi che rimbombavano sugli scalini di legno. « Che cosa stai facendo? » disse poi urlando con voce isterica. « Non puoi scendere qui! »

Marty guardò in alto, ancora sconvolto per i conati e vide Carys che attraversava la cantina andando verso di lui. Aveva gli occhi fissi sulla scena del tavolo, ma mantenne un controllo ammirevole, ignorando il corpo e afferrando il coltello e la forchetta che si trovavano di fianco al piatto. Li afferrò con violenza, strappando anche un pezzo di tovaglia nella fretta. Il piatto e il suo contenuto infestato di uova di mosca rotolarono sul pavimento insieme ai coltelli.

Breer si era fermato in fondo alle scale inorridito alla vista della profanazione del suo tempio. Ora, urlando, corse in direzione degli infedeli, con quel suo corpo mastodontico che rendeva ancora più terribile quell'attacco. Carys si girò mentre lui la raggiungeva, ringhiando. Era scomparsa. Marty non riusciva a capire dove fosse. Ma la confusione durò soltanto qualche secondo. Poi Breer alzò le sue grosse mani grigiastre come per spingere Carys, con la testa che si agitava avanti e indietro. Emetteva uno strano mugolio, più un grido di protesta che di dolore.

Carys riuscì a schivare i colpi di Breer e si rifugiò lontano dal pericolo. Il coltello e la forchetta che aveva preso non erano più nelle sue mani. Breer si era infilzato su di loro ma non sembrava comunque rendersi conto di averli conficcati nelle budella. Era concentrato sulla ragazza che, inciampando, era caduta su un sacco di plastica steso sul pavimento della cantina. Corse per aiutarla, dimenticando, nella sua angoscia, la dissacrazione. Carys incrociò lo sguardo di Marty che col viso inondato di sudore, si trascinava aggrappandosi alle tubature del soffitto.

« Muoviti! » gli urlò. Aspettò abbastanza giusto per sentire la sua risposta e poi iniziò a salire le scale. Mentre si arrampicava in direzione della luce, udì dietro di lei il Mangialamette che gridava: « No! No! ». Si guardò alle spalle. Marty era arrivato alle scale, ma le mani di Breer - ben curate, profumate e letali -lo afferrarono. Marty sferrò un violento colpo all'indietro liberandosi. Fu solo un attimo di respiro, niente di più. Non era ancora a metà dei gradini che il suo inseguitore lo raggiunse. La faccia rossa e sudicia lo scrutava dalle profondità della cantina: i tratti, sconvolti dall'oltraggio, apparivano quasi animaleschi.

Questa volta le mani di Breer riuscirono ad afferrare una gamba di Marty, e le dita affondarono con forza nel muscolo. Marty gridò per il dolore quando la stoffa si strappò e le unghie di Breer gli lacerarono la carne. Allungò un braccio verso Carys che usò tutta la forza rimastale per tirarlo verso di sé. Breer, in equilibrio precario, mollò la presa e Marty salì inciampando le scale, spingendo Carys davanti a lui. Lei si slanciò fuori della porta della cantina, Marty la seguiva, con Breer alle calcagna. In cima alle scale Marty si girò all'improvviso e sferrò un calcio. Con il piede colpì la pancia piena di ferite del Mangialamette. Breer cadde indietro, con le mani tese nell'aria in cerca di un appiglio: ma non ce n'erano. Riuscì appena a toccare con le unghie il muro di mattoni, prima di ruzzolare pesantemente lungo le scale, finendo sul pavimento della cantina con un tonfo sordo. Rimase laggiù, disteso in modo scomposto, immobile: un gigante abbattuto.

Marty sbatté la porta dietro di lui e rimise il catenaccio. Non si sentiva lo stomaco ancora abbastanza forte per guardarsi la ferita nella gamba, ma a giudicare dalla sensazione di bagnato e di caldo che avvertiva nella calza e nella scarpa, doveva sanguinare per bene.

« Puoi... prendere qualcosa... » pregò Carys « ... giusto per coprirla? »

Senza fiato per poter rispondere, Carys annuì con la testa, e girò l'angolo per andare in cucina. Sullo scolatoio c'era un asciugamano, ma era troppo puzzolente per poterlo usare su una ferita aperta. Iniziò affannosamente a cercare qualcosa di più pulito; era ora di andare. Mamoulian non sarebbe stato fuori tutta la notte.

Nel corridoio, Marty rimase in attesa di udire qualche suono proveniente dalla cantina. Non udì nulla.

Ma si infiltrò un altro rumore, un rumore che aveva quasi dimenticato. Il ronzio della casa tornò a farsi sentire nelle sue orecchie, insieme alla voce gentile tessuta con il sibilo: un attraente richiamo. Il buonsenso gli suggeriva di cancellarla dalla mente. Ma quando si mise ad ascoltarla, cercando di decifrare le parole, la nausea e il dolore nella gamba sembrarono abbandonarlo.

Su una sedia della cucina Carys aveva trovato una delle camicie grigioscuro di Mamoulian. L'Europeo era molto esigente in fatto di biancheria. La camicia era appena stata mandata in lavanderia: una benda ideale. La strappò - il cotone di ottima qualità resistette un po' poi immerse una parte in acqua fredda per pulire la ferita e con il resto fece tante strisce per fasciare la gamba. Terminata quell'operazione, uscì nel corridoio. Ma Marty non c'era.

 

55

 

DOVEVA vedere. O se non fosse riuscito a vedere - che cos'era il vedere in fondo, se non una sensazione? - avrebbe almeno imparato una nuova forma di conoscenza. Era questa la promessa che sembrava sussurrargli la stanza nell'orecchio: qualcosa di nuovo da conoscere e una nuova forma di conoscenza. Si tirò su per la balaustra, mettendo una mano dopo l'altra, sempre meno consapevole del dolore a mano a mano che avanzava verso l'oscurità ronzante. Aveva troppa voglia di prendere il treno fantasma. Lì c'erano sogni che non aveva mai fatto, e che non avrebbe più avuto l'occasione di fare. La scarpa era piena di sangue, ma lui si mise a ridere. Nella gamba era iniziato un dolore lancinante, ma lo ignorò. Erano gli ultimi gradini: si arrampicò in modo studiato. La porta era spalancata.

Raggiunse la cima delle scale e avanzò zoppicando.

 

Il fatto che nella cantina fosse completamente buio non sembrava infastidire minimamente il Mangialamette. Erano ormai molte settimane che i suoi occhi avevano ripreso a funzionare come un tempo: ma aveva imparato a usare il tatto al posto della vista. Si alzò in piedi e cercò di pensare con la mente lucida. L'Europeo sarebbe tornato presto a casa. Sarebbe stato punito per avere lasciato la casa incustodita e avere così permesso la fuga. Cosa ancora peggiore, non avrebbe più visto la ragazza, non avrebbe più potuto guardarla mentre faceva la pipì, quell'acqua fragrante che conservava per le occasioni speciali. Era desolato.

Gli pareva di sentirla ancora muoversi nel corridoio sopra di lui; stava salendo le scale. Il ritmo dei suoi minuscoli piedi gli era ormai familiare, l'aveva ascoltata così tante volte, giorno e notte, mentre camminava su e giù nella sua cella. Nella mente il soffitto della cantina diventò trasparente; guardò in alto in mezzo alle gambe di lei mentre saliva le scale; quella larga fenditura si era spalancata. Gli scocciava dover perdere quella fenditura, e anche la ragazza. Era vecchia, naturalmente, non come quella graziosa a tavola, o le altre per la strada, ma c'erano state volte nelle quali la sua presenza era l'unica cosa che gli impediva di diventare matto.

Ritornò indietro, inciampando nel buio, verso la sua piccola autocannibale, il cui pasto era stato così brutalmente interrotto. Prima di andare da lei, il suo piede urtò uno dei coltelli da scalco che le aveva lasciato sul tavolo nel caso ne avesse bisogno per servirsi da sola. Si mise a quattro zampe e tastò il terreno per trovarlo, poi si arrampicò su per le scale ed iniziò ad intagliare il legno dove aveva visto essere il catenaccio, grazie alla luce che filtrava attraverso le fessure della porta.

 

Carys non voleva salire all'ultimo piano. C'erano troppe cose lassù che la spaventavano. Delle allusioni più che dei fatti reali ma sufficienti a renderla debole. Perché Marty fosse andato di sopra - ed era l'unico posto dove sarebbe potuto andare - era qualcosa che non riusciva a capire. Nonostante lui pretendesse di aver capito, c'erano ancora molte cose che doveva imparare.

« Marty? » aveva chiamato ai piedi della scala, sperando di vederlo comparire in cima, sorridente e pronto a scendere senza bisogno che lei salisse per andarlo a prendere. Ma la sua voce cadde nel silenzio e la notte stava quasi per finire. L'Europeo avrebbe potuto tornare da un momento all'altro.

Con riluttanza, iniziò a salire le scale.

 

Fino a quel momento Marty non aveva ancora capito. Era stato innocente, in un mondo vergine, lontano da questa profonda ed esilarante penetrazione, non solo dei corpi ma anche delle menti. L'aria nella stanza si chiuse attorno alla sua testa non appena vi entrò. Le ossa del cranio sembravano schiacciarsi l'una contro l'altra; la voce della stanza, che non doveva più usare i suoi toni sommessi, gli urlò nel cervello. Così sei arrivato! Era naturale che venissi! Benvenuto nel Paese delle Meraviglie. Era confusamente consapevole del fatto che era la sua stessa voce che stava pronunciando quelle parole. Forse era sempre stata la sua voce. Parlava da solo come fanno i pazzi. Anche se questa volta aveva scoperto il trucco, la voce tornò a farsi sentire, più sommessa: È proprio un bel posto questo, non credi?

A quella domanda, si guardò in giro. Non c'era niente da vedere, nemmeno i muri. Se anche c'erano finestre, erano ermeticamente chiuse. Non c'era assolutamente nulla che appartenesse al mondo esterno.

« Non vedo nulla », mormorò in risposta alla voce.

La voce si mise a ridere; lui rise con lei.

Non c'è niente di cui aver paura, disse. Poi, dopo una pausa compiaciuta: Qui non c'è niente di niente.

Ed era esatto, no? Niente di niente. Non era solo l'oscurità che lo rendeva cieco, era la stanza stessa. Stordito, lanciò un'occhiata alle sue spalle: non riusciva più a vedere la porta dietro di lui, anche se sapeva di averla lasciata aperta quando era entrato. Ci doveva essere per lo meno un filo di luce proveniente dal piano di sotto. Ma quell'illuminazione era stata divorata; come la sua torcia. Una soffocante nebbia grigia premeva così forte contro i suoi occhi che anche se avesse alzato una mano di fronte al naso non sarebbe riuscito a vederla.

Stai bene qui, lo tranquillizzò la stanza. Non ci sono giudici, non ci sono sbarre qui. Stai vedendo realmente per la prima volta.

« Sono cieco? » chiese.

No, rispose la stanza.

« Non... mi piace... »

Certo che non ti piace. Ma imparerai con il tempo. La vita non è fatta per te. I vivi sono i fantasmi dei fantasmi. Tu vuoi distenderli, finirla con tutte queste sciocchezze. Niente è essenziale, ragazzo.

« Voglio andarmene. »

Ti direi delle bugie?

« lo voglio andarmene... per favore. »

Sei in mani sicure.

« Per favore. »

Inciampò in avanti, non sapendo esattamente dove fosse la porta. Davanti o dietro? Con le braccia tese davanti come un cieco sul bordo di un precipizio, barcollava, cercando qualche punto fermo. Non era l'avventura che si era aspettato: non era nulla. Niente è essenziale. Una volta entratici, quel nulla senza confini non aveva né distanza né profondità, né nord né sud. E tutto quello che stava fuori - le scale, il pianerottolo, le altre scale, il corridoio, Carys -tutto sembrava un'invenzione. Un sogno tangibile, non un luogo autentico. Non c'erano altri luoghi autentici, a eccezione di quello. Tutto quello che aveva vissuto, provato, apprezzato, quello che gli aveva procurato gioia e dolore, sembrava inconsistente. La passione era polvere. L'ottimismo un'illusione. Dubitava persino dei ricordi legati ai sensi: le strutture, le temperature. Colore, forma, sagoma. Tutti diversivi - giochi che la mente aveva inventato per camuffare questo insopportabile nulla. E perché no? Guardare troppo a lungo negli abissi avrebbe forse potuto rendere pazzo un uomo.

Perché forse? Non sicuramente? disse la stanza, assaporando quel pensiero.

Sempre, anche durante i momenti più duri (disteso su una brandina in una cella soffocante, ascoltando l'uomo del letto di sotto che piangeva nel sonno), c'era stato qualcosa in cui credere: una lettera, l'alba, il rilascio; scintille di significato.

Ma qui, il significato era morto. Il futuro e il passato erano morti. L'amore e la vita erano morti. Anche la morte era morta perché tutto quello che poteva eccitare le emozioni non era ben accetto qui. Solo il nulla: ora e per sempre il nulla.

« Aiutatemi », disse, come un bambino sperduto.

Vai al Diavolo, rispose la stanza con tono di rispetto; e per la prima volta in vita sua capì esattamente cosa volesse dire.

 

Sul secondo pianerottolo Carys si fermò. Sentiva delle voci; non voci, ora che era più vicina si rese conto che era la stessa voce - la voce di Marty - che parlava e rispondeva a se stessa. Era difficile stabilire dove avesse luogo quello scambio; le parole sembravano essere dappertutto e da nessuna parte. Lanciò un'occhiata nella sua stanza e poi in quella di Breer. Alla fine, facendosi forza al ricordo dell'incubo, guardò in bagno. Non era in nessuna di quelle stanze. Non c'era modo di evitare la conclusione spiacevole. Era andato di sopra, nella stanza di Mamoulian.

Mentre attraversava il pianerottolo che portava alla rampa di scale che salivano al piano più alto, un altro rumore colpì la sua attenzione: da qualche parte in basso, qualcuno stava intaccando il legno con una lama. Capì immediatamente che si trattava di Mangialamette. Era desideroso di raggiungerla. Però, che casa, pensò lei, con quella bella facciata seria. Ci sarebbe voluto un altro Dante per descrivere le sue profondità e le sue altezze: i bambini morti, i Mangialamette, i drogati, i matti e tutto il resto. Sicuramente le stelle appese al loro zenit si agitavano nelle loro costellazioni, e nella terra sottostante il magma si era raggelato.

Nella stanza dell'Europeo, Marty lanciò un grido, un'implorazione angosciata. Chiamando il suo nome in risposta, e pregando Dio che la potesse udire, si precipitò in cima alle scale e corse, con il cuore in gola verso la porta.

 

Era caduto in ginocchio; dell'istinto di conservazione non era rimasto che un pensiero rovinato e senza speranza, grigio su grigio. Persino la voce era cessata. Era stanca delle prese in giro. Oltre tutto aveva insegnato bene la sua lezione. Niente è essenziale, aveva detto, mostrandogli il come e il perché; o, per meglio dire, scavando, in quella parte di lui che l'aveva sempre saputo. Ora avrebbe aspettato il precursore di questo elegante sillogismo che sarebbe venuto a ucciderlo. Si distese, senza sapere esattamente se era ancora vivo oppure morto, senza sapere se l'uomo che stava per arrivare lo avrebbe ucciso oppure resuscitato: l'unica cosa che sapeva con certezza era che distendersi era la cosa più facile in questo mondo, il più vuoto di tutti i mondi possibili.

 

Carys era già stata in quel Nulla prima di allora. Aveva già sentito quell'aria piatta e futile. Ma nelle ultime ore aveva intravisto qualcosa oltre quell'aridità. Quel giorno c'erano state delle vittorie, non molto grandi forse, ma comunque si trattava di vittorie. Pensava al modo in cui era arrivato Marty, con qualcos'altro negli occhi, oltre alla bramosia. Quella era una vittoria, no? Aveva tratto quel sentimento da lui, ottenendolo in qualche modo imprevedibile. Non si sarebbe fatta battere da questo ultimo oppressore, da quella vecchia bestia che reprimeva i suoi sensi. Non era altro che un residuo dell'Europeo, dopo tutto. Le sue squame erano servite per decorare il suo boudoir. Squame, rifiuti. Sia lui che la bestia erano spregevoli.

« Marty », disse. « Dove sei? »

« Da nessuna parte... » giunse una voce.

Lei la seguì, inciampando. La desolazione la circondava, insistente...

 

Breer si fermò un attimo. Lontano, aveva udito delle voci. Non riuscì a cogliere le parole esatte, me il senso era chiaro. Non erano ancora scappati, e questa era la cosa più importante. Aveva qualche progetto su di loro, una volta libero: specialmente per l'uomo. L'avrebbe ridotto in pezzetti così minuscoli che nemmeno i suoi cari avrebbero potuto riconoscere un dito dalla faccia.

Cominciò di nuovo a lavorare il legno con rinnovato fervore. Sotto il suo attacco senza tregua, la porta iniziò finalmente a scheggiarsi.

 

Carys seguì la voce di Marty attraverso la nebbia, ma lui le sfuggiva. Forse si stava muovendo oppure era la stanza che si stava prendendo gioco di lei, facendo riecheggiare la voce sulle pareti o forse anche spacciandosi per lui. Poi la sua voce chiamò il suo nome, molto vicino. Si voltò nell'oscurità, completamente disorientata. Non c'era più segno della porta dalla quale era entrata: era scomparsa, come le finestre. I frammenti della sua risoluzione iniziavano a scrollarsi. Il dubbio si insinuava, con fare compiaciuto.

Bene, bene. E tu chi sei? chiese qualcuno. Forse lei stessa.

« So come mi chiamo », disse in un soffio. Non sarebbero riusciti a metterla nel sacco così. « So come mi chiamo. »

Lei era una pragmatista, dannazione! Non era incline a credere che il mondo fosse tutto nella sua testa. Ecco perché prendeva l'ero: il mondo era troppo vero. Ora sentiva queste fantasticherie nelle orecchie, che le dicevano che non era nulla, tutto era nulla, fango senza nome.

« Merda », disse. « Tu sei una merda. La sua merda! »

La stanza non si degnò di rispondere e Carys approfittò del vantaggio intanto che l'aveva.

« Marty. Puoi sentirmi? » Non ottenne risposta. « È solo una stanza, Marty. Riesci a sentirmi? Non è niente! È solo una stanza. »

Tu sei già stata qui dentro, sottolineò la voce nella sua testa. Ricordi?

Oh, certo che si ricordava. Da qualche parte in quella nebbia c'era un albero; l'aveva visto nella sauna. Uno strano albero carico di fiori, e sotto di questo aveva intravisto cose orrende. Era lì che era andato Marty? Penzolava forse da esso: un nuovo frutto?

Dannazione, no! Non doveva lasciarsi trascinare da pensieri di quel genere. Era soltanto una stanza. Se si fosse concentrata sarebbe riuscita a trovare le pareti, forse anche le finestre.

Incurante del fatto che avrebbe potuto inciampare, si girò alla sua destra e fece quattro, cinque passi fino a quando le braccia tese in avanti toccarono il muro: era incredibilmente, stupendamente solido. Ah! pensò, tu e il tuo fottuto albero! Guarda che cosa ho trovato. Appoggiò le mani aperte sul muro, Ora: destra o sinistra? Immaginò di lanciare una monetina in aria. Uscì testa e lei iniziò a costeggiare la parete alla sua sinistra.

Non devi, bisbigliò la stanza.

« Perché non provi a fermarmi? »

Nessun posto dove andare, disse con disprezzo, solo in tondo e ancora in tondo. Sei sempre andata in tondo, non è vero? Debole, pigra, ridicola donna.

« Tu chiami me ridicola. Tu. Una nebbia parlante. »

Il muro lungo il quale si stava muovendo sembrava allungarsi sempre di più. Dopo una decina di passi iniziò a dubitare della teoria che stava verificando. Forse quello era davvero uno spazio manipolabile, dopo tutto. Forse si stava allontanando da Marty lungo una nuova Muraglia Cinese. Ma rimase aggrappata alla fredda superficie in modo estremamente tenace, come uno scalatore su uno strapiombo. Se fosse stato necessario, avrebbe fatto tutto fl giro della stanza fino a trovare la porta, oppure Marty, o magari tutti e due.

Una sporca puttana, disse la stanza. Ecco che cosa sei. Non riesci neppure a trovare l'uscita di un labirinto tanto semplice. -4 meglio che ti sdrai e prendi quello che ti viene dato, come fanno le brave puttane.

Aveva avvertito una nota di disperazione in questo nuovo attacco?

Disperazione? disse la stanza. Io vivo di quella. Puttana.

Aveva raggiunto un angolo della stanza. A quel punto girò verso l'altra parete.

Non devi, disse la stanza.

« Sì, invece », rispose lei.

Non andrei da quella parte. Oh no! Non ci andrei di sicuro. Mangialamette è quassù con te, non lo senti? È a pochi passi da te. No, non farlo! Oh, ti prego, non farlo! Odio l'odore del sangue!

Pura scena: era l'unica cosa che sapesse fare. E più la stanza si faceva prendere dal panico, più lei si sentiva coraggiosa.

Fermati! Per il tuo bene, fermati

Anche se le aveva urlato nelle orecchie, riuscì lo stesso a trovare la finestra con le mani. Era questo che temeva scoprisse!

Puttana! strillò la stanza. Te ne pentirai. Te lo prometto. Oh sì.

Non c'erano né tende né persiane: la finestra era stata completamente coperta di tavole di legno in modo che niente potesse rovinare quel perfetto nulla. Le dita cercarono a tentoni una fessura in una delle tavole: era ora che facesse entrare un po' del mondo esterno. Ma il legno era stato inchiodato molto bene. Per quanto tirasse con forza, le assi non sembravano voler cedere.

« Muoviti, dannazione! »

La tavola scricchiolò e alcune schegge caddero a terra. « Sì », sussurrò Carys con tono di lusinga, « ora ci siamo. » Un debole raggio di luce, solo un accenno, filtrò attraverso le tavole di legno. « Forza », supplicò, tirando con più violenza. L'ultima falange delle dita si piegò indietro nello sforzo di strappare via le tavole, ma il debole spiraglio di luce era diventato sempre più largo. La luce cadde su di lei e attraverso uno strato di aria polverosa la ragazza iniziò finalmente a riconoscere la sagoma delle sue mani.

Non era la luce del giorno quella che filtrava fra le assi. Era solo il chiarore dei lampioni e dei fari delle automobili, forse la luce delle stelle, o di qualche televisore acceso in qualche casa di Caliban Street. Ma era sufficiente. Man mano che la fessura si faceva più larga, maggior certezza invadeva la stanza; consistenza e sostanza.

Dall'altra parte della stanza, anche Marty vide la luce. Lo irritò, come se qualcuno avesse spalancato le persiane al mattino nella stanza di un moribondo. Cercò di attraversare la stanza nel tentativo di immergersi nuovamente nella nebbia prima che questa si disperdesse completamente, alla ricerca della voce rassicurante che gli ripetesse che niente era essenziale. Ma se ne era andata. Era stato abbandonato, mentre la luce continuava a entrare sempre più insistente. Riuscì a distinguere la sagoma di una donna contro la finestra. Aveva staccato una delle tavole e l'aveva appoggiata a terra. Ora stava tirando la seconda. « Vieni dalla mamma », disse, e la luce arrivò, definendola in ancora più disgustosi particolari. Lui non ne voleva sapere; era un fardello questo affare dell'essere. Emise un debole gemito di dolore e di esasperazione.

Lei si girò verso di lui. « Eccoti, finalmente », disse aiutandolo a rimettersi in piedi. « Dobbiamo fare in fretta. »

Marty stava fissando la stanza, che si rivelava ora in tutta la sua banalità. Un materasso sul pavimento, una tazza di porcellana capovolta e, dietro, una brocca d'acqua.

« Svegliati », insisté Carys, scuotendolo.

Non c'era bisogno di andare, pensò lui; non aveva niente da perdere anche se fosse restato.

« Per l'amor del cielo, Marty! » gli urlò. Dal piano di sotto saliva il rumore del legno che scricchiolava. Sta arrivando, pensò.

« Marty », gridò. « Mi senti? È Breer. »

Quel nome risvegliò in lui l'orrore. Una ragazza fredda, seduta a una tavola apparecchiata della sua propria carne. Il suo terribile, inspiegabile scherzo. Quell'immagine cancellò la nebbia dalla mente di Marty. La cosa che aveva prodotto quell'orrore era dabbasso, ora se lo ricordava, se lo ricordava fin troppo bene. Guardò Carys con gli occhi pieni di lacrime.

« Cos'è successo? »

« Non c'è tempo ora », rispose lei.

Avanzò zoppicando seguendola alla porta. Lei aveva ancora in mano una delle tavole che aveva tolto dalla finestra, con i chiodi ancora conficcati dentro. Il rumore proveniente dal piano di sotto si era fatto più intenso, il baccano di una porta scardinata e di una mente bacata.

Il dolore alla gamba di Marty, che la stanza aveva così abilmente attutito, si fece più acuto. Aveva bisogno dell'aiuto di Carys per arrivare alla prima rampa di scale. Scesero i gradini insieme; la mano di Marty, sporca del sangue della sua ferita, lasciava tracce del loro passaggio sul muro.

A metà della seconda rampa di scale, la cacofonia dalla cantina si interruppe.

Rimasero immobili, in attesa della mossa successiva di Breer. Si udì uno strano cigolio quando Mangialamette spalancò la porta della cantina. Oltre alla debole luce proveniente dalla cucina - c'erano parecchi angoli da fare prima di raggiungerla - non c'erano altre luci a illuminare il percorso. Cacciatore e preda, entrambi mimetizzati nell'oscurità, si aggrappavano saldamente a ogni minimo movimento, senza sapere se quello successivo poteva essere fonte di un disastro. Carys lasciò Marty indietro e scese da sola gli ultimi cinque gradini che la separavano dalla fine delle scale. I suoi passi erano assolutamente silenziosi sui gradini privi di tappeto, ma dopo la privazione dei sensi sofferta nella stanza di Mamoulian, a Marty parve di udire anche i battiti del cuore.

Nel corridoio tutto era tranquillo: fece cenno a Marty di seguirla. Il corridoio era immobile e apparentemente vuoto. Sapeva bene che Breer era vicino: ma dove? Era grande e grosso e gli sarebbe stato difficile trovare un posto dove nascondersi. Forse, sperò, non era riuscito a scappare e ci aveva ormai rinunciato, esausto. Andò avanti.

Senza fare rumore, il Mangialamette saltò fuori dalla porta principale, ruggendo. Il coltello da scalco vibrò un colpo violento. Lei riuscì a schivare il colpo, ma così facendo perse completamente l'equilibrio. Fu la mano di Marty che riuscì ad afferrarle il braccio, trascinandola via per evitare il secondo colpo. La forza dello strattone fece però cadere Marty addosso a Carys. Breer cadde contro la porta, mandando i vetri in frantumi.

« Usciamo! » disse Marty, vedendo la strada completamente libera lungo il corridoio. Ma questa volta Carys non aveva intenzione di correre. C'era un tempo per fuggire e un tempo per combattere: forse non le si sarebbe presentata un'altra occasione per ringraziare Breer di tutte le umiliazioni subite. Si liberò dalla stretta di Marty e afferrò strettamente la tavola.

Il Mangialamette si era alzato, con il coltello ancora in mano, e avanzò minaccioso verso di lei. Decise di attaccare per prima. Alzò la tavola e gli corse incontro, assestandogli un colpo al lato della testa. Il collo, già fratturato in seguito alla caduta, si spezzò. I chiodi della tavola si conficcarono nel cranio e lei fu obbligata a mollare l'arma, lasciandola attaccata al lato della testa di Breer come fosse un quinto arto. Breer cadde in ginocchio. Una mano contratta lasciò cadere il coltello mentre l'altra cercava a tentoni il legno e lo strappò con violenza dalla testa. Lei era contenta che fosse buio: tutto quel sangue e il rumore dei piedi che facevano risuonare l'impiantito spoglio erano già sufficienti a terrorizzarla. Breer rimase in ginocchio per parecchi secondi, poi cadde in avanti, infilzandosi il coltello nella pancia.

Lei era soddisfatta. Questa volta, quando Marty l'afferrò, andò con lui.

Mentre camminavano lungo il corridoio, udirono un colpo secco nel muro. Si fermarono. E questo cos'era? Qualche altro spirito invasato?

« Che cos'è? » chiese lui.

Il rumore cessò, poi ricominciò, questa volta accompagnato da una voce.

« Volete fare silenzio? Qui c'è gente che vuole dormire! »

« I vicini », rispose Carys. Il pensiero dei vicini che si lamentavano era davvero divertente: quando finalmente riuscirono ad uscire da quella casa, passando davanti alla porta della cantina rotta da Breer e alla sua camomilla ormai fredda, stavano entrambi ridendo.

Scivolarono lungo il vialetto immerso nell'oscurità sul retro della casa e arrivarono alla macchina, dove rimasero seduti per parecchi minuti, ridendo e piangendo a intervalli regolari; due pazzi, devono aver pensato gli abitanti di Caliban Street, o forse due amanti, divertiti dopo una notte di avventure.

 

XI

 

E venne il regno

 

56

 

Erano ormai tre settimane che Chad Schuckman e Toni Loomis portavano in giro il messaggio della Chiesa dei Santi Risorti alla popolazione di Londra ed erano davvero stufi. « Un modo come un altro di fare una vacanza », borbottava ogni giorno Toni, mentre studiavano il percorso da compiere. Memphis era lontana mille miglia ed entrambi avevano nostalgia di casa. Oltre tutto, la campagna si stava rivelando un vero fallimento. I peccatori che incontravano sulle soglie delle abitazioni di quella città abbandonata da Dio erano assolutamente indifferenti al messaggio del Reverendo che annunciava l'imminente Apocalisse, come pure alla sua promessa di Liberazione.

Nonostante il tempo (o forse proprio a causa di quello) i peccati non facevano più scalpore in Inghilterra. Chad era sprezzante: « Non sanno cosa sta per accadere loro », continuava a ripetere a Tom, che conosceva a memoria tutte le descrizioni del Diluvio Universale ma che sapeva anche quanto fossero meglio accolte se raccontate da un bravo ragazzo come Chad invece che da lui. Aveva anche il sospetto che le poche persone che si fermavano ad ascoltarli lo facessero perché Chad assomigliava tanto ad un angioletto biondo, e non perché fossero interessati al mondo del Reverendo. Più semplicemente, sbattevano la porta.

Ma Chad era inflessibile. « C'è il peccato qui », assicurava a Toni. « E dove c'è il peccato c'è la colpa. E dove c'è la colpa c'è del denaro per le Opere del Signore. » Era un'equazione semplicissima: se Toni aveva dei dubbi sulla sua morale, era chiaro che se li teneva per sé. Meglio il silenzio che la disapprovazione di Chad: non avevano che l'un l'altro in quella città straniera, e Toni non aveva intenzione di perdere la sua guida.

Comunque, a volte era difficile mantenere intatta la propria fede. Soprattutto in giorni infuocati come quello, quando il vestito in fibra sintetica ti pizzica dietro il collo e il Signore, se è nel suo Paradiso, se ne sta bene alla larga. Non un briciolo di vento per rinfrescarti un po' la faccia, non una nuvola all'orizzonte.

« Non è preso da qualcosa? » chiese Toni a Chad.

« Che cosa? » Chad stava contando i volantini che dovevano ancora distribuire quel giorno.

« Il nome della strada », disse Toni. « Caliban. È preso da qualcosa. »

« Davvero? » Chad aveva finito di contare. « Abbiamo dato via solo cinque volantini. »

Diede una manciata di foglietti a Toni e prese un pettine dalla tasca interna della giacca. Nonostante il caldo, aveva un'aria fresca e ordinata. Al contrario, Toni si sentiva scialbo, accaldato e, temeva, tentato di allontanarsi dal sentiero della rettitudine. Tentato da cosa, non lo sapeva con certezza, ma era aperto a eventuali suggerimenti. Chad si passò il pettine fra i capelli, rimettendo a posto le eleganti onde della sua chioma lucida. Il Reverendo aveva insegnato che era importante avere un buon aspetto. « Siete agenti del Signore », aveva detto. « Lui vi vuole puliti e ordinati, splendenti dalla testa ai piedi. »

« Vieni qui », disse Chad, scambiando il pettine con i volantini. « I tuoi capelli sono un disastro. »

Toni prese il pettine con i denti dorati. Fece un vano tentativo di rendersi presentabile, mentre Chad lo guardava. I capelli di Toni non sarebbero rimasti bene a posto come quelli di Chad. Probabilmente il Signore avrebbe disapprovato: non gli sarebbe piaciuto per niente. Ma, d'altra parte, che cosa piaceva al Signore? Disapprovava il fumo, il bere, la fornicazione, il tè, il caffè, la Pepsi, le montagne russe, la masturbazione. E per le creature deboli che si lasciavano tentare da una oppure - Dio le salvi - da tutte le sopracitate cose, sarebbe giunto il Diluvio.

Toni pregò che l'acqua, se mai fosse arrivata, fosse almeno fredda.

 

La persona con il vestito scuro che aprì la porta al numero 82 di Caliban Street ricordava a Toni e Chad il Reverendo. Non fisicamente, naturalmente. Bliss era un uomo grassoccio e abbronzato, mentre quel damerino era magro e con la pelle giallognola. Ma in entrambi era implicita una forte autorità: la stessa serietà e il medesimo impegno. Sembrava interessato aì volantini: la prima persona davvero interessata di tutta la mattina. Citò loro persino il Deuteronomio - un brano che non conoscevano - e poi offrì loro da bere, invitandoli ad entrare.

Era davvero una strana casa. I muri e i pavimenti erano spogli; c'era un forte odore di disinfettante e di incenso, come se avessero appena finito di pulire. A dire la verità, Toni pensava che quel tizio avesse portato l'ascetismo alle sue forme più estreme. La stanza sul retro nella quale furono fatti entrare aveva soltanto due sedie, nient'altro.

« Mi chiamo Mamoulian. »

« Molto lieto. Io sono Chad Schuckman e questo è Thomas Loomis. »

« Entrambi santi, eh? » I due giovani parvero sorpresi. « I vostri nomi. Sono entrambi nomi di santi. »

« San Chad? » azzardò il ragazzo biondo.

« Certamente. Era un Vescovo Inglese, stiamo parlando del VII secolo. San Tommaso, naturalmente, il grande Scettico. »

Li lasciò un attimo e andò a prendere dell'acqua. Tom si dimenava sulla sedia.

« Cosa c'è che non va? » chiese Chad. « è- la prima persona che sembra volersi convertire da quando siamo qui. »

« È strano. »

« Credi che al Signore interessi se è strano? » chiese Chad. Era una bella domanda alla quale Torn stava cercando una risposta quando il padrone di casa ritornò.

« La vostra acqua. »

« Vive solo? » chiese Chad. « IL una casa tanto grande per una persona sola. »

« Recentemente sono rimasto solo », disse Mamoulian porgendo i bicchieri colmi di acqua. « E devo dire la verità: ho davvero bisogno di aiuto. »

Ne era sicuro, pensò Tom. L'uomo lo guardò come se gli fosse passata per la testa la stessa idea, come se Torn l'avesse espressa ad alta voce. Tom arrossì e bevve l'acqua per nascondere l'imbarazzo. Era tiepida. Gli inglesi non avevano mai sentito parlare di frigoriferi? Mamoulian rivolse la sua attenzione nuovamente su Chad.

« Che cosa fate nei prossimi giorni? »

« Le opere del Signore », rispose Chad senza difficoltà.

Mamoulian annuì. « Ottimo », disse.

« Diffondere la Parola. »

« Vi farò pescatori di uomini'. »

« Matteo. Capitolo Quarto », aggiunse Chad.

« Stavo pensando », disse Mamoulian, « se vi autorizzo a salvare la mia anima immortale, forse potrete aiutarmi. »

« A fare cosa? »

Mamoulian si strinse nelle spalle: « Ho bisogno dell'aiuto di due giovani puledri come voi. »

Puledri? Non suonava troppo fondamentalista. Quel povero peccatore non aveva mai sentito parlare dell'Eden? No, pensò Tom, guardando l'uomo negli occhi; no, probabilmente non ne aveva mai sentito parlare.

« Mi spiace ma abbiamo altri impegni », rispose Chad in tono gentile. « Ma saremo molto felici se vorrà venire con noi quando arriverà il Reverendo e se vorrà farsi battezzare. »

« Mi piacerebbe molto incontrare il Reverendo », rispose l'uomo. Tom non era sicuro, ma gli sembrava tutta una montatura. « Abbiamo poco tempo prima che scenda su di noi l'ira del Creatore », disse Mamoulian. Chad annuiva in tono convinto. « Poi saremo dei relitti - non è forse così? - dei relitti in mezzo alle onde. »

Quelle parole erano praticamente le stesse del Reverendo. Tom le udì pronunciare dalle labbra sottili di quell'uomo e l'accusa di essere uno Scettico si ritorse su di lui. Ma Chad era andato in estasi. Il suo viso aveva quell'espressione evangelica che Chad assumeva di solito durante i sermoni; l'espressione che Tom aveva sempre invidiato ma che ora pensava essere inopportuna.

« Chad... », esordì.

« Relitti in mezzo alle onde », ripeté Chad, « Alleluia! »

Tom appoggiò il bicchiere accanto alla sedia. « Penso sia ora di andare », disse, alzandosi in piedi. Per qualche strana ragione le tavole nude sulle quali si trovava sembravano lontane più di un metro e ottanta dai suoi occhi: sembrava fossero a due chilometri. Come se fosse una torre sul punto di cadere, con le fondamenta portate alla luce. « Dobbiamo ancora passare in un mucchio di strade », insisté, cercando di focalizzare l'attenzione sul problema principale e cioè, in poche parole, come uscire da quella casa prima che succedesse qualcosa di terribile.

« Il Diluvio », disse Mamoulian, « è quasi sopra di noi. »

Tom si avvicinò a Chad per risvegliarlo da quello stato di trance. Le dita al termine del braccio disteso sembravano lontane mille miglia dagli occhi. « Chad », disse. San Chad; circondato da un alone, che pisciava arcobaleni.

« Ragazzo, stai bene? » chiese lo sconosciuto, facendo roteare i suoi occhi da pesce in direzione di Tom.

« Mi... sento... »

« Cosa ti senti? » chiese Mamoulian.

Anche Chad lo stava guardando, con il viso privo di preoccupazioni; privo, a dire la verità, di qualsiasi emozione. forse - questo pensiero gli venne in mente per la prima volta - era proprio per questo che il viso di Chad era così perfetto. bianco, simmetrico e completamente vuoto.

« Siediti », disse lo sconosciuto. « Prima di cadere per terra. »

« Va tutto bene », lo rassicurò Chad.

« No », disse Tom. Sentiva che le ginocchia non gli obbedivano più. Aveva il sospetto che molto presto avrebbero ceduto.

« Fidati di me », ribatté Chad. Tom avrebbe voluto. In passato Chad aveva sempre avuto ragione. « Credimi, siamo qui per una buona causa. Siediti, come ti ha detto questo signore. »

« È il caldo? »

« Sì », disse Chad per conto di Tom. « È il caldo. Anche a Memphis fa caldo, ma almeno abbiamo l'aria condizionata. » Si girò verso Tom e gli mise una mano sulla spalla. Tom si abbandonò a quella stanchezza e si sedette. Avvertì un battito di ali dietro il collo, come se un colibrì gli stesse volando attorno, ma non aveva abbastanza forza per scacciarlo.

« Vi definite agenti? » disse l'uomo, quasi in un soffio. « Non credo che conosciate il significato della parola. »

Chad intervenne rapido in loro difesa.

« Il Reverendo dice... »

« Il Reverendo? » lo interruppe l'uomo con fare altezzoso. « Pensate che abbia la benché minima idea del vostro valore? »

Questo imbarazzò Chad. Tom cercò di dire al suo amico di non farsi abbindolare, ma le parole con gli uscirono. La lingua era appiccicata in bocca, immobile come un pesce morto. Qualsiasi cosa accada ora, pensò, per lo meno siamo insieme. Erano amici fin dalle elementari, avevano vissuto l'adolescenza e conosciuto la metafisica insieme; Tom pensava che fossero inseparabili. Sperava che quell'uomo si rendesse conto che dove andava Chad doveva andare anche Tom. Il battito di ali dietro il collo era cessato: un tiepido pensiero di rassicurazione si stava insinuando nella sua testa. Dopo tutto la situazione non sembrava così tragica.

« Ho bisogno dell'aiuto di voi baldi giovani. »

« Per fare che cosa? » chiese Chad.

« Per iniziare il Diluvio », rispose Mamoulian. Un sorriso, incerto dapprima, ma sempre più aperto man mano che l'idea colpiva la sua immaginazione, si stampò sul viso di Chad. I tratti del volto, spesso troppo sobri per l'eccessivo zelo, si infiammarono.

« Oh, sì », disse. Lanciò un'occhiata a Tom. « Hai sentito cosa ci sta dicendo questo signore? »

Tom annui.

« Hai sentito, vecchio mio? »

« Ho sentito, ho sentito. »

Era tutta la vita che Chad aspettava questo invito. Per la prima volta avrebbe potuto dipingere sul serio la realtà oltre la direzione che aveva descritto come imminente in un centinaio di case. Nella sua mente le acque - rosse e furibonde -crescevano in ondate spumose e si riversavano su quella città pagana. « Siamo in mezzo alle onde », disse, e quelle parole trascinavano con loro molte immagini. Uomini e donne - ma soprattutto donne - correvano nudi cercando di sfuggire a quella marea. L'acqua era calda e cadeva sui loro visi urlanti, sui loro petti lucidi e scossi. Questo era quanto aveva promesso il Reverendo, e ora ecco quest'uomo che proponeva loro di aiutarlo per rendere possi bile tutto questo, per portare questa punizione, lo spumoso Giorno de. Giorni fino alla fine. Come avrebbero potuto rifiutare? Sentì il bisogno di ringraziare quell'uomo per averli considerati degni. Il pensiero diede origine al gesto. Piegò le ginocchia e cadde a terra, ai piedi di Mamoulian.

« Grazie », disse all'uomo con l'abito scuro.

« Allora mi aiuterete? »

« Sì... » rispose Chad; il suo segno di omaggio non era forse sufficiente? « Naturalmente. »

Dietro di lui, anche Tom mormorò il suo assenso.

« Grazie. »

Ma quando alzò gli occhi l'uomo, in apparenza convinto della loro devozione, se n'era già andato dalla stanza.

 

57

 

Marty e Carys dormirono insieme nel letto a una piazza: fu un sonno lungo e ristoratore. Se il bambino nella stanza accanto pianse durante la notte, loro certo non lo udirono. E nemmeno udirono le sirene nella Kilburn High Road, quando la polizia ed i vigili del fuoco vi si recarono in seguito a una conflagrazione in Maida Vale. Nemmeno la luce dell'alba attraverso i vetri sporchi riuscì a svegliarli, nonostante le tende fossero state lasciate aperte. Solo una volta, nelle prime ore del mattino, Marty si girò nel sonno e gli occhi si aprirono per vedere le prime luci dell'alba riflesse nel vetro. Invece di distogliere lo sguardo, lasciò che la luce colpisse le sue palpebre mentre si richiudevano.

 

Trascorsero metà della giornata nella camera da letto prima che sorgesse il bisogno: fecero il bagno, bevvero del caffè e parlarono ben poco. Carys lavò e fasciò la ferita della gamba di Marty, poi si cambiarono d'abito, buttando via quelli che avevano addosso la sera precedente.

Iniziarono a parlare soltanto verso metà pomeriggio. Il dialogo iniziò in modo molto pacato, ma il nervosismo di Carys aumentava insieme col desiderio di una dose e ben presto la conversazione non fu altro che un disperato diversivo alle contrazioni del ventre e dello stomaco. Raccontò a Marty come era stata la sua vita con l'Europeo: le umiliazioni, le delusioni, l'impressione che la conoscesse e che conoscesse suo padre meglio di quanto immaginasse. Da parte sua Marty cercò di parafrasare la storia che gli aveva raccontato Whitehead durante quell'ultima notte, ma lei era troppo distratta per riuscire a concentrarsi seriamente. La sua conversazione si fece sempre più agitata.

« Devo farmi una dose, Marty. »

« Adesso? »

« Abbastanza presto. »

Lui stava aspettando con una certa apprensione quel momento. Non perché non potesse procurarle la roba: sapeva benissimo dove prenderla. Ma perché aveva sperato che in qualche modo lei riuscisse a resistere senza bucarsi quando erano insieme.

« Sto davvero male », spiegò lei.

« Va tutto bene. Sei qui con me. »

« Lui verrà, lo sai. »

« Non adesso. Non verrà adesso. »

« Sarà molto arrabbiato e verrà. »

La mente di Marty ritornò indietro all'esperienza vissuta nella stanza del piano di sopra in Caliban Street. Quello che aveva visto là, o piuttosto quello che non aveva visto, lo avevano terrorizzato molto più dei cani o di Breer. Quelli erano pericoli puramente fisici. Ma ciò che era capitato nella stanza era un pericolo di altro tipo. Aveva avvertito, forse per la prima volta in vita sua, che la sua anima - una nozione che aveva fino ad allora rifiutato, giudicandola una sciocchezza dei Cristiani - era in pericolo. Che cosa volesse dire con quella parola, non lo sapeva con certezza; e nemmeno sapeva che cosa intendesse dire Papà. Ma una parte di lui, più importante di un arto o della vita stessa, si era eclissato e Mamoulian ne era responsabile. Che cosa mai avrebbe potuto fare quell'essere, se ci fosse stata costretta? La sua curiosità non era più limitata al desiderio di sapere cosa si nascondesse dietro il velo: era diventata una vera e propria esigenza. Come potevano sperare di lottare contro quel demagogo senza saperne un po' di più sulla sua natura?

« Non lo voglio sapere », disse Carys leggendo nei suoi pensieri. « Se viene, viene. Non c'è niente che possiamo fare. »

« La scorsa notte... » incominciò Marty, pronto a ricordarle come avevano vinto la battaglia. Lei fece un gesto per allontanare quel pensiero prima ancora che fosse finito. La tensione sul suo Viso era insopportabile: il bisogno della roba la stava accecando.

« Marty ... »

Lui la guardò.

« ... hai promesso », continuò lei in tono di accusa.

« Non l'ho dimenticato. »

Aveva fatto a mente il conto aritmetico: non per il prezzo della droga, ma per il suo orgoglio ferito. Sarebbe dovuto andare da Flynn per procurarsi l'eroina; non conosceva nessun altro di cui potersi fidare. Adesso erano entrambi fuggitivi, da Mamoulian e dalla legge.

« Devo fare una telefonata », disse.

« Falla », rispose Carys.

Nell'ultima mezz'ora lei sembrava fisicamente cambiata. Aveva la pelle cerea e negli occhi si scorgeva una luce di disperazione; con il passare dei minuti, il tremolio si faceva sempre più intenso.

« Non sottovalutarlo », gli disse.

Parve sorpreso: « Sottovalutarlo? »

« Può farmi fare cose che io non voglio », sussurrò. Le lacrime avevano iniziato a cadere. Non stava singhiozzando, erano solo lacrime che cadevano liberamente dagli occhi. « Forse può costringermi a farti del male. »

« D'accordo. È meglio che vada ora. C'è un ragazzo che vive con Chairmaine che potrà procurarmi la roba; stai tranquilla. Vuoi venire? »

Si abbracciò forte. « No », rispose. « Ti farei perdere tempo. Vai pure. »

Marty si infilò la giacca cercando di non guardarla; quella mescolanza di fragilità e di desiderio lo spaventava. Il sudore sul suo corpo era fresco: si raccoglieva nei morbidi triangoli delle clavicole colandole dal viso.

« Non aprire a nessuno, okay? »

Lei annuì, fissandolo.

Quando uscì, lei chiuse la porta a chiave dietro di lui e tornò a sedersi sul letto. Le lacrime ricominciarono a cadere copiose. Non erano lacrime di dolore: solo acqua salata. Beh, forse c'era una punta di dolore: per la sua riscoperta fragilità e per l'uomo che era sceso per le scale.